sabato, Aprile 20, 2024
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Sant’Ambrogio: brevi squarci di vita

Figlio di un senatore romano prefetto delle Gallie, nacque a Treviri nel 339, una città tedesca oggi vicina al confine lussemburghese che accoglie poco più di centomila abitanti.

Forse già da molto piccolo era predestinato a diventare santo, perché nella culla era stato assalito all’improvviso da una miriade di api, con enorme preoccupazione da parte della sua balia. Ma nessuno degli insetti lo punse e se ne volarono via nel giro di qualche minuto, lasciandolo assolutamente indenne.

Giunto a Milano nel 370, fu al servizio dell’imperatore romano Valentiniano I e le sue opere di mediazione tra cristiani e ariani furono subito intense e certamente non semplici.

La morte del vescovo Assenzio, spentosi nel 374 dopo aver incredibilmente sostenuto parecchie tesi degli eretici, mise Ambrogio in grave imbarazzo quando si trattò di eleggere il successore. I suoi interventi, volti a pacificare le due entità religiose, furono altamente apprezzati, tanto che una folta delegazione, composta da cristiani e ariani, decise di eleggerlo vescovo.

Dapprima rifiutò l’incarico, poi decise di fuggire, ma venne rintracciato e alla fine si arrese alla volontà popolare (era il 7 dicembre 374). Nel pieno delle sue funzioni vescovili, dovette fronteggiare le pretese di Giustina, moglie di Valentiniano I, la quale volle che la basilica antica (o Porziana), venisse concessa e affidata al culto ariano.

Con calma, ma determinato, Ambrogio riuscì a vincere la “tenzone”, convincendo Giustina a retrocedere dai suoi intenti.

Altre diatribe nacquero con Teodosio, l’ultimo imperatore che regnò sull’impero romano unito. Infatti a Tessalonica, nell’anno 390, un comandante di Teodosio venne orribilmente lapidato per motivi non chiari e l’imperatore diede ordine di massacrare un certo numero di gente inerme.

Si pentì quasi subito di questa sua decisione, ma ormai era tardi e quando un messo giunse a destinazione con l’ordine di recedere, le uccisioni erano già avvenute. Sparsasi la voce dell’eccidio, Ambrogio condannò l’imperatore dal pulpito senza mezzi termini, imponendogli il pentimento.

E quando Teodosio giunse a Milano, Ambrogio lo fermò davanti alla chiesa, chiedendogli di domandare perdono a Dio per il grave misfatto prima di entrare nel tempio. Accettò pure di inginocchiarsi per parecchio tempo, sperando di ottenere dall’Alto la necessaria indulgenza.

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