domenica, Novembre 24, 2024
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Le “animulae” di Laura Zeni

Alla Galleria d’Arte Certosa, in via Garegnano 28, è possibile visitare fino al 6 febbraio la mostra di Laura Zeni, intitolata “Anime”. E’ una selezione di una decina di opere, curata da Francesca Bellola, comprendente lavori in acrilico e sculture in ferro dell’Artista milanese, formatasi all’Accademia di Brera sotto la guida di Raffaele De Grada, che dal 1980 svolge la sua attività, partecipando a numerose mostre nazionali e internazionali.

Francesca Bellola, nel presentare i lavori in esposizione, ha messo in risalto la ricerca dell’artista, tesa a sottolineare l’opportunità di lasciarsi andare, in maniera metaforica, per liberarsi e comunicare con il proprio essere.

L’intreccio con le altre anime dai corpi fluttuanti, come si nota nel lavoro intitolato “Intrecci”, creata appositamente per l’esposizione, raffigura quanto siano importanti gli scambi e le unioni per confrontarsi e quindi per migliorarsi.

I lavori, con silhouette e contorni, peraltro visibili anche nelle opere col fil di ferro, privi di tridimensionalità, richiamano alla mente un’arte primitivista, basica, povera. Le sue linee, ridotte al minimo assoluto,  cercano l’essenzialità,  fino a diventare enigmatiche nella loro allusiva prevedibilità.

Ma il titolo della mostra  “Anime”  ricorda anche i famosi versi di  un breve componimento dell’imperatore  Adriano, ripreso dalla grande Margherita Yourcenar, quando si prepara al distacco della sua anima, salutandola mentre si appresta a lasciare il corpo e la descrive con parole (in lingua latina)dolcissime, come

“Animula vagula blandula”,

cioè anima piccola, smarrita, diafana. Quasi le immagini eteree appena accennate da Zeni, contorni delineati che si intrecciano, in una fusione che è necessaria all’umanità se vuole sopravvivere e scacciare la tremenda tentazione dell’egoismo e dell’isolamento.

Questo perché quando l’uomo è solo e si osserva, come nel grande dipinto “Context”, (sopra) non può che provare smarrimento e confusione (la testa che tiene in mano, come un Amleto redivivo, è quasi specchio del suo essere), fino a temere di non riconoscere più la propria anima, capovolta, vuota e deserta, pure accanto a lui.

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