venerdì, Aprile 26, 2024
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La medicina narrativa affianca la cartella clinica nella cura della sclerosi multipla

di Stefania Bortolotti

Il racconto dell’esperienza personale di malattia del paziente affetto da Sclerosi Multipla (SM) e dei suoi familiari può diventare uno strumento prezioso per la cura. Nella relazione con il medico il paziente dovrebbe sentirsi considerato non come un numero, ma come una persona.Accogliere i suoi vissuti, condividerli fra operatori e tenerne conto nel processo decisionale, fa ritrovare una dimensione più umana e soggettiva, e rappresenta l’aspetto più nuovo e trasformativo della Medicina Narrativa. La narrazione aiuta il paziente a fare ordine e dare significato alle sue esperienze, e consente agli operatori sanitari di costruire percorsi di cura rispettosi dei bisogni del malato, condivisi e personalizzati.
Presso il Centro SM dell’Ospedale di Gallarate, da ottobre 2014, è stata introdotta una Cartella Clinica che integra la Cartella Clinica tradizionale, in cui vengono raccolti i dati personali (eventi, abitudini, cultura…) che hanno ripercussioni sulla malattia e che emergono durante le visite di controllo.
“Quando le malattie croniche irrompono nell’esistenza di una persona, introducono una profonda frattura che sovverte le sicurezze, le aspettative, i progetti di vita, le relazioni interpersonali e l’immagine di sé” ha dichiarato il dottor Angelo Ghezzi, direttore del Centro SM dell’Ospedale di Gallarate; “La SM è una malattia cronica che ha un esordio precoce ed è caratterizzata da periodiche ed imprevedibili riacutizzazioni. Per questi motivi, più di altre patologie, si intreccia con ed influenza le vicende personali dei malati e dei familiari”.
Ad oggi sono state redatte circa 200 cartelle cliniche narrative. Le informazioni sull’esperienza dei pazienti raccolte dalla Cartella Clinica Integrata sono suddivise in tre segmenti:
a) la storia personale (eventi familiari e di vita, lavoro e relazioni sociali);
b) le caratteristiche personali (tratti caratteriali, emozioni e modo di vedere la SM e i suoi trattamenti;
c) relazioni con il centro SM e i suoi addetti (rispetto di visite e prescrizioni, esperienze emotive).
Le informazioni sui pazienti sono protette da password e accessibili solo ai membri del team curante.
L’età media dei pazienti è di 42,2 anni, mentre la disabilità media, – misurata dalla scala EDSS (Extended Disabiity Status Scale, che va da 0 a 10 – è di 2.2). L’85% dei pazienti è affetto da Sclerosi Multipla Relapsing Remitting e il restante 15% da forme Croniche Progressive.
Il primo bilancio di questa esperienza pilota è molto incoraggiante. I pazienti e i familiari hanno avvertito un interesse e un ascolto più attento dei loro bisogni e hanno espresso maggiore soddisfazione e fiducia nel servizio; i percorsi di cura sono stati più rispettosi dei vissuti e delle vicende di vita dei malati e questo ha aumentato l’adesione ai trattamenti. La maggiore aderenza ai trattamenti e il miglioramento dei rapporti ha comportato un riscontro economico attraverso la riduzione degli accessi e degli abbandoni della terapia. Sono aumentate altresì la coesione dell’équipe degli operatori e la capacità di presa in carico unitaria della persona. I positivi risultati ottenuti motivano a proseguire l’esperienza, esplorare nuovi ambiti applicativi e, auspicabilmente, a estenderne l’utilizzo in altre realtà.
Con 1700 pazienti, il Centro SM di Gallarate è uno dei principali centri italiani a occuparsi di Sclerosi Multipla. Nato nel 1963, primo Centro in Italia per la diagnosi e la cura della SM, da sempre partecipa a tutti i principali progetti di ricerca clinici nazionali ed internazionali. Con la Cartella Clinica Narrativa il centro SM dell’Ospedale di Gallarate vuole promuovere la qualità della presa in carico verso la personalizzazione delle cure.
Alcune domande di approfondimento

Dott. Angelo Ghezzi – Direttore del Centro SM dell’Ospedale di Gallarate

Come nasce il progetto della cartella clinica integrata?
L’attenzione crescente agli eventi e al contesto di vita dei pazienti, la consapevolezza di quanto queste vicende s’intreccino con il decorso della malattia e l’interesse della dottoressa Baldini per la medicina narrativa hanno creato i presupposti per predisporre la cartella integrata.

Quali sono i benefici per i pazienti e per la struttura sanitaria di questo approccio?

La conoscenza unitaria del malato migliora la qualità del rapporto di cura e la circolazione delle informazioni, facilita le scelte terapeutiche, riduce gli accessi ambulatoriali e promuove l’aderenza ai trattamenti.
Quanto è importante il lavoro di team in questo progetto?
La collaborazione di tutti è fondamentale per costruire una visione d’insieme del malato e dei suoi bisogni. Se ciascuno degli operatori condivide le sue osservazioni, le notizie raccolte non saranno più aneddotiche e frammentarie ma diventeranno strumenti per una migliore gestione delle cure.

Dott.ssa Silvana Baldini – Neurologa del Centro SM di Gallarate

Il sito della società italiana di medicina narrativa si apre con una frase di Gabriel Garcia Marquez: “ La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”. Quanto è importante nel vostro progetto il lavoro caso per caso sul paziente?

È importante. In un mondo come l’attuale in cui tutto ciò che non è numerico viene avvertito come meno vero e interessante, l’introduzione di un elemento qualitativo è un incremento di civiltà. Fatta salva l’imprescindibile formazione scientifica su cui ovviamente non si transige, a me peraltro ha sempre interessato di più quel malato lì, proprio quello che avevo davanti nel momento specifico piuttosto che l’andamento astratto della malattia ricavato da valutazioni statistiche. La Medicina narrativa, mi sembra, non è altro che il valorizzare l’unicità di chi ci si trova davanti.

Lei è una scrittrice, premiata più volte per i suoi contributi sulla medicina narrativa. Come la conoscenza della letteratura e dei processi di scrittura la aiuta ogni giorno a fare meglio il suo lavoro?

Non userei il termine scrittrice che è impegnativo, diciamo che sono una che da sempre ha una certa familiarità con la parola scritta. La letteratura c’entra nel senso che attraverso gli scrittori ho imparato a valorizzare il ruolo di chi, raccontando, riesce a descrivere un comportamento e a circostanziare le motivazioni, specie quelle occulte, inespresse, inesprimibili o ritenute tali. Se è vera l’affermazione di Paul Watzlavick per cui “non si può non comunicare” è altrettanto vero che spesso quello che più conta è ciò di cui non si deve parlare. Questo vale soprattutto nella cura di una malattia come l’SM. Il più delle volte nel colloquio clinico “il più importante” non trova neanche un secondo di attenzione.

Come vede l’evoluzione di questo progetto? Come può migliorare ulteriormente la presa in carico e il trattamento dei pazienti?

I pazienti quando si accorgono che chi sta loro davanti coglie un particolare personale o si ricorda di qualcosa attinente alla loro storia di vita e ne tiene conto, rimangono sempre favorevolmente colpiti e non mancano di esprimerlo. Questo perché avvertono meno la sensazione di straniamento che caratterizza qualsiasi procedura medica (ci sono la fretta, il telefono, il parlare del medico in difficilese…). Conoscere il mondo valoriale del paziente e avere almeno un’idea della sua storia di vita oltre che a permettere di scegliere meglio la terapia serve anche a decodificare i sintomi, a sapere prendere le persone “dal verso giusto”, a farsi capire, a interloquire in modo meno autoritario; serve anche ai medici per sentirsi meno onnipotenti. Possiamo dire che il Progetto Cartella Integrata Narrativa migliora e personalizza la presa in carico e va verso una globale umanizzazione del rapporto di cura.

Dott.ssa Lorena Pippolo – Psicoterapeuta del Centro

Qual è il portato di questo progetto per il lavoro dello psicologo con i pazienti?
Il lavoro dello psicologo si basa da sempre sull’ascolto dei vissuti e delle vicende del paziente. L’introduzione della Cartella Narrativa arricchisce e trasforma soprattutto la qualità delle cure mediche ospedaliere, valorizzandone la dimensione soggettiva e relazionale. La disponibilità all’ascolto del malato crea uno spazio nuovo di comunicazione fra medico e paziente, che lo fa sentire visto e trattato come una persona. Così in modo sottile, ma pervasivo questo approccio migliora la qualità del servizio.

Può descriverci un caso in cui la cartella clinica integrata ha consentito di conoscere aspetti fondamentali del quadro psicologico di un paziente e migliorare così l’offerta di servizi sanitari?

È la qualità dell’ascolto che permette di conoscere meglio il malato e interagire con lui; la Cartella Integrata è solo lo spazio in cui le informazioni vengono raccolte e organizzate nel tempo.
Mi è difficile pensare a un singolo caso; mi vengono in mente invece tanti volti, tante storie. Per qualcuno sono emersi scenari familiari o storie estremamente difficili e dolorose (parenti con gravi patologie psichiche o fisiche da accudire); l’esordio della malattia o le riacutizzazioni per altri si sono manifestati in concomitanza con gravi eventi stressanti come lutti, separazioni, conflitti. Ci sono malati che hanno assistito all’esordio della SM in un figlio; genitori che hanno due figli affetti da SM; c’è chi è più angosciato dalle cure farmacologiche o dai controlli che dalla malattia; chi si consuma nella rabbia e la riversa nelle relazioni con i familiari o gli operatori; c’è chi vuole un figlio per sfidare la malattia o interrompere la terapia…
Ogni situazione se accolta, conosciuta diventa unica ai nostri occhi e potendo meglio comprenderne i bisogni potremo personalizzare le cure, farle “su misura” per il singolo ottimizzandone i risultati.

Quali sono i traumi psicologici più comuni vissuti dai pazienti affetti da Sclerosi Multipla e come entrano a far parte della cartella clinica integrata?

Ogni evento, ogni vissuto, ogni modalità di relazione che venga osservato o riferito agli operatori del Centro può trovare posto nella Cartella Integrata. La SM mina profondamente le proprie sicurezze, il rapporto con il corpo, le relazioni interpersonali, i progetti di vita. Improvvise e imprevedibili limitazioni nella vista, nella sensibilità, nel movimento, nel controllo dei bisogni fisiologici o nelle funzioni cognitive creano inevitabilmente profonda insicurezza nell’individuo, e una frattura fra il sé e il corpo, che può essere sentito come estraneo e nemico. Le relazioni con gli altri (amici, familiari, curanti) possono diventare difficili, soprattutto per chi non tollera la dipendenza o la vicinanza. Non tutti i rapporti di coppia, del resto, riescono a reggere di fronte all’aggravarsi della sintomatologia. Non è facile accettare di essere malati, di avere limitazioni o di dovere convivere con un farmaco spesso “invasivo”; i progetti di vita devono essere sovente adattati, in qualche caso stravolti. E infine nella fase progressiva della malattia, il malato e i familiari dovranno fronteggiare piccole, costanti e inarrestabili perdite dell’autonomia e questo genera angoscia, rabbia, sensazione di impotenza.

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