giovedì, Aprile 25, 2024
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Lo storico Ripamonti e la peste del 1630

E’ curioso notare come il Covid 19 possa essere raffrontato, sotto certi aspetti, con l’ondata di peste che colpì’ Milano negli anni 1629-1630. Testimone assai presente di quest’ultima tragedia fu lo storico Giuseppe Ripamonti, nato a Ravellino, sopra il Comune di Dolzago (ora in provincia di Lecco), nell’agosto 1573 e spentosi a Rovagnate nell’agosto 1643.

Fu amico del cardinale Federico Borromeo, il quale lo nominò titolare della cattedra di latino presso il seminario di Porta Orientale. Facilitato da un apprendimento particolarmente celere, conosceva la lingua di Cicerone, il greco e l’ebraico in modo non solo completo, ma anche in maniera assai sciolta.

Famoso per la dettagliata cronaca sulla grande carestia che precedette la peste del 1630, le sue opere rimasero negli archivi, per non dire quasi dimenticate, sino ai primi dell’Ottocento, quando Alessandro Manzoni volle studiarle con grande attenzione. Stava infatti iniziando a scrivere “I promessi sposi”, introducendo notizie apprese dal Ripamonti, quasi in contemporanea con lo storico Ignazio Cantù.

Lo stesso Cantù non fece a meno di sottolineare come il suo latino fosse forbito ed elegante, ma al tempo stesso riflettesse frasi estremamente complesse, di ardua traduzione, tanto che diversi latinisti del tempo le difinivano ostiche e difficili.

Va comunque riconosciuto che il suo libro “De peste” è ricco di notizie assai importanti, relative a quel periodo, notizie che appaiono ottimamente tradotte ne “La peste di Milano del 1630”, il libro stampato da Luni Editrice.

E’ profondo il pensiero del Ripamonti quando segnala che la popolazione non voleva credere a questo terribile morbo, tanto da deridere con fischi e risate tutti coloro che si prendevano la briga di mettere in piena luce tutta la sua pericolosità. Addirittura dileggiato anche il protomedico Ludovico Settala, accusato di diffondere soltanto terrore.

Infine, la grande processione indetta dall’arcivescovo Federico Borromeo, con il trasporto delle spoglie del cugino San Carlo e con migliaia di fedeli a stretto contatto fra loro, fece subito aumentare il contagio facendo precipitare la situazione.

Poi, finalmente, la scienza e la prevenzione ebbero la meglio sulla malattia, evidenziando per esempio come la chiusura di certe botteghe (alimentari esclusi), fosse assolutamente indispensabile, le restrizioni agli ingressi in città se non accompagnati da uno speciale lasciapassare, le raccomandazioni a non uscire di casa se non in rari casi, non toccare abiti infetti appartenuti a persone decedute, lasciare che il prelievo dei morti venisse effettuato solo da individui guariti come i monatti.

Insomma, la prudenza, come ora per il Covid, veniva caldamente raccomandata. Adesso abbiamo la fortuna di possedere i vaccini e dovremmo sempre suggerire, ad amici e conoscenti, di non sottovalutare in nessun caso la loro inoculazione.

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