sabato, Aprile 20, 2024
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Leucemia Mieloide Cronica

di Stefania Bortolotti

Emozioni condivise tra medici e pazienti affetti da questa patologia per raccontare la malattia: timori, ansia, diagnosi, terapia, monitoraggio, ricaduta, sopravvivenza, guarigione… sono parole dietro le quali si celano vissuti emozionali profondi e latenti. Farli emergere attraverso un dialogo diretto tra medico e paziente è stato l’obiettivo dell’evento “Le parole che abbiamo in comune”, svoltosi il 27 Maggio scorso a Udine. L’iniziativa è stata promossa da Novartis  (www.novartis.it) in collaborazione con la Clinica Ematologica dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine (www.ospedaleudine.it) ed è stata la prima tappa di un ciclo di incontri in programma in tutta Italia.

Grazie a un format innovativo, in ogni incontro gli specialisti ematologi e i pazienti con Leucemia Mieloide Cronica si sono confrontati sulle parole chiave che caratterizzano le fasi del percorso di cura, condividendo i significati e le emozioni evocate da queste “parole comuni”.

Un modo per abbattere le barriere tra medici e pazienti e costruire un rapporto di fiducia. La Leucemia Mieloide Cronica è stata, tra le malattie del sangue, tra le prime a beneficiare della rivoluzione legata all’avvento delle terapie mirate che dall’inizio degli anni 2000 hanno aumentato la sopravvivenza e avvicinano sempre più la speranza della guarigione.

Indubbiamente nell’ultimo decennio noi ematologi abbiamo assistito a un cambiamento rivoluzionario che ha portato a successi prima insperati come la guarigione per alcuni pazienti o a una lunga sopravvivenza per molti altri e, per tutti, a un miglioramento della qualità della vita – ha dichiarato Mario Tiribelli, Clinica ematologica dell’Ospedale di Udine – tutto questo grazie all’arrivo di farmaci innovativi e al miglioramento delle conoscenze nell’ambito della Leucemia Mieloide Cronica che rappresentano e resteranno un modello formidabile per una sempre migliore caratterizzazione clinico-biologica delle malattie del sangue e per lo sviluppo di nuovi farmaci mirati. Siamo passati da una malattia nella quale la terapia era ‘per sempre’ a una malattia in cui può essere ‘sospesa’ la terapia. Oggi non guardiamo più solo alla risposta e al controllo della malattia, ma alla qualità di vita e soprattutto alla sopravvivenza dei pazienti, che rimane comunque il primo obiettivo. Si è trattato di un’evoluzione incredibile in pochi anni e il futuro ci riserva ancora molte sorprese”. La Clinica Ematologica di Udine, Centro di riferimento per l’ematologia dell’adulto per la Regione Friuli Venezia Giulia, è una struttura di elevata competenza e forte attrazione sia per il Friuli Venezia Giulia sia per il Veneto orientale che per le Regioni limitrofe, coprendo un bacino di oltre un milione e mezzo di abitanti. “Il 90% dei pazienti che vediamo afferisce dal Friuli Venezia Giulia e dal Veneto – ha affermato Tiribelli – seguiamo oltre 200 pazienti totali, sono oltre 170 i pazienti affetti da Leucemia Mieloide Cronica in terapia e monitoraggio, con 10-15 nuovi casi ogni anno. E proprio grazie ai successi terapeutici il numero dei pazienti che possiamo trattare è in crescita costante”.

La struttura, oltre a seguire l’attività clinica, si compone di un centro trapianti di cellule staminali emopoietiche e di laboratori ed è molto attiva nella ricerca anche sperimentale, partecipando a studi nazionali e internazionali, consentendo così ai pazienti di aderire ai farmaci più innovativi.

Oggi la Leucemia Mieloide Cronica può essere trattata anche con gli inibitori di seconda generazione della tirosin-chinasi, e in tal senso la Clinica Ematologica dell’Ospedale di Udine ha maturato una grande esperienza, grazie ai quali è possibile raggiungere una risposta molecolare sempre più profonda.

L’iniziativa “Le parole che abbiamo in comune”, che la Clinica Ematologica di Udine  ha ospitato, è arrivata sulla scia di altri progetti e incontri tra gli specialisti e i pazienti con Leucemia Mieloide Cronica, ed è quindi l’evoluzione naturale di un discorso già aperto con i pazienti sulla qualità della vita, sulla possibilità di sospendere la terapia e, in particolare, sul rapporto medico-paziente che viene coltivato perché alla base del lavoro di squadra e nell’interesse dello stesso paziente.

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