di Stefania Bortolotti
Recentemente, per la prima volta in Europa e Stati Uniti è stata immessa sul mercato una terapia avanzata con cellule T del paziente ingegnerizzate e ‘trasformate’ in un’arma utilizzata per curare alcune forme di tumore. Una terapia a base di cellule staminali mesenchimali allogeniche, che hanno dimostrato di possedere proprietà anti-infiammatorie e rigenerative dei tessuti, è stata invece approvata in Europa – e sarà quindi presto disponibile anche in Italia – per il trattamento delle fistole perianali complesse nei pazienti con malattia di Crohn, per le quali i trattamenti farmacologici disponibili non sono particolarmente efficaci e in genere sono necessarie procedure chirurgiche ripetute, associate a incontinenza fecale e maggiore rischio di stomia permanente. Le terapie avanzate, ultima frontiera della biomedicina, che offre nuove opportunità per il trattamento di malattie e disfunzioni del corpo umano grazie ai progressi scientifici nel campo delle biotecnologie cellulari e molecolari, si affacciano dunque sul mercato farmaceutico, portando però con loro delle questioni di ordine etico, di regolamentazione e accesso alle cure e di corretta informazione. Comunicare efficacemente l’innovazione quando si parla di un settore complesso e in continua evoluzione come quello delle terapie avanzate non è infatti impresa facile. Sempre più appare necessario costruire una sorta di ‘alleanza comunicativa’ tra ricercatori e giornalisti per raccontare nel modo giusto i progressi e i fallimenti della ricerca e non generare false speranze o aspettative nel lettore, che sia paziente o familiare/caregiver. Su questo argomento di grande attualità si sono confrontati nei giorni scorsi ricercatori, medici, bioeticisti e giornalisti nel Corso di Formazione Professionale “Comunicare la medicina del futuro: le terapie avanzate tra aspetti etici, informazione corretta e responsabilità sociale del giornalista”, promosso dal Master di comunicazione scientifica della Sapienza SGP – La Scienza nella Pratica Giornalistica, con il supporto di Takeda Italia. L’avvento della medicina rigenerativa basata sull’impiego di cellule staminali e ingegneria tessutale ha fornito ai medici una nuova ed efficace strategia terapeutica da impiegare in molte patologie, genetiche e non. «È chiaro – dichiara Rachele Ciccocioppo, Professore Associato di Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina, AOUI Policlinico G. B. Rossi & Università di Verona – come la medicina rigenerativa consentirà di superare le limitazioni del trapianto d’organo in termini di identificazione di una sorgente inesauribile di organi e tessuti, di eliminazione delle problematiche legate al danno da ischemia/riperfusione, di evitare l’immunosoppressione e i problemi legati a tale trattamento, nonché l’abbattimento delle liste d’attesa». La terapia genica è una forma innovativa di medicina molecolare che mira a trattare una malattia alle sue basi genetiche, rimpiazzando, riparando o controbilanciando un gene malfunzionante nelle cellule colpite dalla malattia. L’idea alla base della terapia genica è di introdurre nella cellula la copia corretta di un gene difettoso, il cui malfunzionamento causa tipicamente una malattia genetica. «Secondo una definizione di ampio respiro, la terapia genica consiste nell’introdurre nell’organismo un gene che determini un effetto terapeutico – afferma Alessio Cantore, Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) e Università “Vita Salute” San Raffaele, Milano – le potenzialità della terapia genica spaziano quindi dalle malattie genetiche ereditarie fino al cancro, passando per le malattie autoimmuni e le malattie infettive. Le tecniche di trasferimento genico, propedeutiche alla terapia genica devono risolvere il limite imposto dalle barriere biologiche, che separano l’informazione genetica delle cellule dall’ambiente cellulare ed extra-cellulare». È una storia lunga più di un decennio, quella delle terapie avanzate in Italia, caratterizzata da un panorama anche normativo quanto mai variegato e complesso come quello che deve portare allo sviluppo di medicinali per queste terapie. «In Europa dal 2009 – sottolinea Giovanni Migliaccio, Direttore Scientifico del Consorzio per le Valutazioni Biologiche e Farmacologiche – le autorità competenti su questi prodotti sono le agenzie nazionali per le sperimentazioni cliniche e la produzione mentre le autorizzazioni all’immissione sul mercato sono centralizzate presso l’Agenzia Europea per i medicinali (EMA). L’introduzione del Regolamento 1394/2007 ha rallentato lo sviluppo accademico di questi prodotti e ha creato un mercato che si è rivelato costoso e difficile. La progressiva raccolta di dati sulle differenze strutturali (legate alla natura stessa delle cellule), dei rischi e degli effetti sulla disponibilità di nuove cure, richiederà aggiustamenti continui nel tipo di controlli richiesti per la produzione, sperimentazione clinica e immissione sul mercato». Le terapie avanzate pongono questioni di tipo bioetico riguardo il loro uso: vanno salvaguardati alcuni principi come quello del rispetto del paziente attraverso un reale consenso informato e della salvaguardia dei dati da parte del ricercatore; entra in gioco anche il principio di giustizia ed equo accesso alle terapie da parte dei cittadini. «Garanti dei diritti dei pazienti e della loro sicurezza rimangono i Comitati Etici (CE) – commenta Antonio Gioacchino Spagnolo, Direttore Istituto di Bioetica e Medica Humanities Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS, Università Cattolica Sacro Cuore di Roma – i quali hanno l’importante ruolo di valutazione dei protocolli sperimentali ma anche degli usi compassionevoli delle terapie avanzate laddove esse rappresentino l’ultima chance per un paziente che è già stato sottoposto senza successo alle terapie tradizionali. È necessario che i Comitati Etici mantengano la loro autonomia e il loro carattere di terzietà affinché nessun altro interesse della società o di enti profit possa prevalere su quello del paziente».