venerdì, Aprile 26, 2024
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Quel coraggioso “Tiremm innanz”

Le Cinque Giornate di Milano non arrestarono il sogno di libertà dei cittadini milanesi, anche se, malgrado l’avvenuta sconfitta degli austriaci in quel glorioso marzo 1848, il nemico si stava preparando ad occupare nuovamente Milano.

Infatti, dopo la ritirata dell’esercito piemontese a seguito della sconfitta di Custoza (27 luglio dello stesso anno), l’armistizio sottoscritto a Salasco autorizzava gli austriaci a ritornare nella nostra città.

Il maresciallo Radetzky volle farci pagare la vittoria ottenuta in soli pochi giorni, adottando vere e proprie torchiate repressive che esasperavano gli animi, in particolare quelli dei patrioti. Vennero comminate pene corporali per i sospettati e aumentò enormemente il numero di spie presso osterie e locande.

L’economia in quegli anni fece registrare progressi, ma la popolazione aveva completamente perso il sorriso. Nacquero gruppi clandestini, prevalentemente di ispirazione mazziniana, con la finalità di sconfiggere l’insopportabile pressione straniera. E clandestinamente venivano affissi manifesti in molte vie, di chiaro sentimento anti-austriaco.

La sera del 30 luglio 1851, la ronda del terzo dipartimento, poco prima di rientrare in caserma dopo le consuete perlustrazioni, leggeva un lungo messaggio insurrezionale del Comitato dell’Olona, affisso su un muro di via Rastrelli, che terminava con le seguenti parole: “Se siete servi, rassegnatevi e servite; ma se siete uomini resistete…”. Il comando di zona ordinò ad un corposo numero di drappelli di scoprire gli autori che osavano sfidare il governo di Vienna.

Una pattuglia riuscì a scoprire, sotto una tettoia di via Spadari, un uomo dal fare sospetto con un largo cappello calato sugli occhi. Si trattava del tappezziere Amatore Sciesa, nelle cui tasche venne trovato una copia del manifesto contestato.

Sottoposto ad un lungo interrogatorio presso il comando di zona, Sciesa si trincerò dietro un deciso “Mi soo nagott e mi parli no” (io non so nulla e non parlo). Ammise soltanto che qualcuno, sconosciuto, gli disse “Prendi questo giornaletto e leggitelo a casa con calma”.

Prima dell’interrogatorio, Amatore venne perquisito dalla testa ai piedi. Oltre ad un astuccio, al pettine e una spilla, venne confermata la presenza di una michetta di pane, spezzata e senza mollica. Questa fu purtroppo la prova che lo condannò perché la mollica, a quei tempi, serviva quasi esclusivamente ai sospettati per affiggere documenti ai muri.

Il capo della polizia informò prontamente Radetzky, il quale ordinò la sua immediata carcerazione. Dopodiché, terminato un breve processo-farsa, venne emessa la condanna a morte.

Il patriota, secondo una delle voci, venne portato sotto casa sua la sera stessa dell’arresto e gli venne detto che, qualora non avesse citato i nomi dei suoi collaboratori, non avrebbe più rivisto né la famiglia né la sua abitazione.

In tale occasione avrebbe pronunciato la celebre frase “Tiremm innanz” preferendo andare incontro alla morte piuttosto che tradire i propri compagni di lotta.

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