di Ugo Perugini —-
Anteprima della mostra che aprirà il 7 febbraio a Palazzo Reale fino al 7 giugno 2020
Tra circa quattro mesi (esattamente il 7 febbraio) aprirà la mostra dedicata a Georges de La Tour a Palazzo Reale. Perché parlarne con tanto anticipo? Per cominciare ad attirare l’attenzione del pubblico su questo artista che è considerato uno tra i più significativi della seconda metà del Seicento e di cui, come vedremo, si sa ancora troppo poco.
In ogni caso l’attesa c’è già e cresce. Basti pensare che le istituzioni italiane non possiedono nemmeno una sua opera. Risale al 2011/2012 l’esposizione di due suoi lavori, in prestito dal Louvre, “La Natività” e “San Giuseppe”, a Palazzo Marino, in occasione delle festività di fine anno, che hanno riscosso un incredibile successo di pubblico. Oltre 200.000 presenze.
Si tratta, perciò, della prima mostra in Italia di de La Tour, con una trentina dei suoi lavori, tutti provenienti da prestiti per i quali sono state necessarie numerose e pazienti trattative. Oltretutto, dal momento che si prefigura un notevole successo per questa esposizione, sono state già aperte le prenotazioni per le visite(preno.gruppi@vivaticket.com ) e anche le iniziative collegate, comprese quelle che coinvolgeranno le scuole, devono essere preparate con largo anticipo.
Qual è il fascino di de la Tour? Probabilmente sta tutto nel mistero che circonda la sua figura. Se sappiamo qualcosa di lui lo dobbiamo a una ricostruzione postuma, novecentesca. Se non fosse stato per l’impegno di Hermann Voss , iniziato con la pubblicazione di un articolo nel 1915, non ne sapremo nulla. Persino la famosa “Rissa dei Musici”, inizialmente venne attribuita a Caravaggio.
Anche della sua vita sappiamo poco. Era nato in un paese della Lorena e da quella zona sembra non si sia mai allontanato molto, anche se qualcuno parla di un suo viaggio in Italia, mai provato. Forse, si recò anche a Parigi, ma certamente la sua non fu una vita facile, tra stenti e difficoltà dovute anche al periodo storico burrascoso: visse durante la guerra dei trent’anni che avrebbe coinvolto numerosi paesi dell’Europa centrorientale, compresa la Francia.
Ancora, non vi sono fonti certe che attestino la sua attività. Come si è formato? Quali sono stati i suoi maestri? Insomma, un artista difficile da inquadrare anche perché non ha lasciato seguaci. La professoressa Francesca Cappelletti, che curerà la mostra, promossa dal Comune di Milano e da MondoMostre Skira, e che l’ha studiato a fondo, lo definisce un pittore “sul filo del rasoio”. Sempre in bilico tra spinte opposte: tra sacro e profano, tra compassione e crudeltà, tra luce e buio.
E, forse, è per questo che piace. Georges de la Tour, che amava i cani – si dice che nella sua casa ne accogliesse molti randagi – era un pittore originale, che dipingeva santi senza aureola e amava soggetti presi dalla strada come straccioni e mendicanti. Nella mostra, sarà messo a confronto con opere di altri artisti contemporanei come van Honthorst, Bor, Bigot, ter Brugghen, che subirono il fascino caravaggesco.
E’ un pittore non convenzionale, ha un occhio di riguardo per i più poveri e li ritrae con i volti segnati, assorti, silenziosi, soprattutto quando di notte cercano nella loro intimità la difesa da un mondo che li sfrutta e li offende. Una mostra da vedere.