Il lavoro di Luigi Pirandello “Come tu mi vuoi” si presta a moltissime interpretazioni. La stessa trama è piuttosto complessa e quando la si porta sulla scena, soprattutto se si cerca di andare all’essenziale nella rappresentazione, si rischia di cogliere alcuni aspetti, lasciandone sullo sfondo altri. E questo è in funzione del momento storico in cui il lavoro viene realizzato.
In questi tempi, con un conflitto in corso alle porte dell’Europa, volenti o nolenti, non possiamo che pensare all’Ignota, protagonista del dramma, come vittima della guerra, sradicata dalla terra di origine, alla ricerca di una identità perduta, umiliata, violentata e ridotta ad oggetto sessuale, privo di sentimenti.
Si trova a Berlino. Vive una vita dissoluta, immorale, senza un passato al quale riferirsi, ma quando si rende conto che potrebbe essere Lucia (Cia), moglie di un rispettabile e nobile italiano, scomparsa anni prima sotto un bombardamento, si illude che quella potrebbe essere l’occasione che gli restituisce, insieme alla sua vera identità, i sentimenti e l’amore perduto.
Non sarà così perché scoprirà che per il marito lei rappresenta solo l’occasione per poter rientrare in possesso di una villa che altrimenti sarebbe andata in eredità ad altri. Non l’amore, quindi, ma l’avidità spinge il presunto marito a riconoscerla. E lui che potrebbe plasmare a suo piacimento la donna che fu sua moglie (ma ha dimenticato tutto) ricostruendole se non il passato il senso della vita e gli affetti perduti non lo fa avendo altri meschini obiettivi.
Ecco, infatti la dolorosa esternazione di Lucia: ”Sono qua, sono tua; in me non c’è nulla, più nulla di mio: fammi tu, fammi tu, come tu mi vuoi! M’hai aspettata per dieci anni? Fai conto che non sia stato nulla!…) Dammi tu i tuoi (ricordi), i tuoi, tutti quelli che tu hai serbati di lei come fu allora per te! Ora ridiventeranno vivi in me, vivi di tutta quella tua vita, di quel tuo amore, di tutte le prime gioje che ti diede!”.
In Pirandello emerge il contrasto tra la libertà senza vincoli della donna a Berlino e gli obblighi e le convenzioni sociali di un Paese, come l’Italia, ancora decisamente provinciale. Tra una identità per certi aspetti immorale ma libera e una conformista ma fondamentalmente ipocrita, dove prevalgono “intrighi di interessi”.
A questo punto, è meglio che la verità non venga fuori. Ammesso che una verità esista. Perché la verità è sempre inafferrabile, mai univoca, frutto di compromessi. E ognuno vive nell’eterno contrasto tra essere (come si vede lui) e apparire (come lo vedono gli altri). E allora è proprio la finzione, e in primis il teatro, che può cogliere a fondo tutte queste contraddizioni e metterci di fronte alla nostra vera ma ambigua natura.
Lo spettacolo di Invisibile Kollettivo, dovendo muoversi su diversi fronti interpretativi, in certi momenti sembra perdere l’orientamento, e non facilita l’emergere di alcuni temi, mettendo in difficoltà l’attenzione e lo spirito critico dello spettatore. Di notevole spessore, peraltro, l’interpretazione degli attori in scena: Nicola Bortolotti, Lorenzo Fontana, Alessandro Mor, Franca Penone ed Elena Russo Arman.
La canzone finale “Sono come tu mi vuoi” – di Mina – seppure molto bella, spariglia un po’ il clima rarefatto della complessa indagine psicologica sottesa dalla vicenda pirandelliana e ci riporta di peso alla banalità quotidiana.
(Foto di Laila Pozzo)