di Ugo Perugini*
Presso l’Art Studio 38 di via Canonica 38 (Hotel 38) l’8 giugno ci sarà la presentazione della mostra (già visitabile) di Roberto Albertalli e Florine Offergelt. Si tratta di due artisti di grande originalità e creatività.
Crediamo che Roberto Albertalli, artista e precursore del movimento che lui stesso ha definito proiezionismo, debba molto al padre Giovanni. Anche lui è stato un pittore, legato alla sua terra di origine, il novarese, e ha contribuito alla realizzazione di un originale museo a Casalbeltrame, dove si conservano cimeli della cultura contadina (attrezzi agricoli, mezzi di trasporto, ecc.).
In quelle zone, in passato c’era una figura particolare, che veniva chiamata Caminant. Era un personaggio che girava tra le cascine isolate del territorio a portare notizie, musica, storie, favorendo scambi commerciali. Roberto è figlio della sua terra perché lui stesso, in qualche modo, vuole essere un moderno Caminant, trasmettere dei messaggi con le sue opere, senza dimenticare che è anche musicista (si definisce sound designer) e non rinnega certo il suo passato di ballerino con successi televisivi e teatrali a fianco di Pippo Baudo ed Hether Parisi.
Quando ha deciso di girare pagina, si è dedicato anima e corpo alla creazione artistica con opere che hanno il fascino dell’esoterico, non solo per la forma quanto per il modo in cui vengono realizzate. Naturalmente Roberto Albertalli non ci svela tutti i segreti del suo laboratorio, ma fornisce alcuni spunti interessanti che stanno alla base del suo lavoro.
Le opere che lui definisce “cromogrammi” sono realizzati rigorosamente in 7 colori. Se se ne usano 6 o 8 l’operazione non riesce. La tavola su cui si faranno depositare i colori deve essere perfettamente in piano orizzontale, “in bolla”. Poi, l’artista fa lentamente colare dai bicchieri resine mescolate con pigmenti e ossidi. Operazione che tassativamente viene compiuta dalle 2 alle 4 e mezzo del pomeriggio. I gesti che compie sono assolutamente estemporanei, non rispondono a nessun tipo di programmazione o disegno preventivo. I colori, insomma, vanno dove vogliono andare, si stendono con libertà assoluta, assumendo le forme più diverse e incontrollate, creando sfumature inattese, accostamenti imprevedibili.
Non è facile descrivere le sue opere né io mi ci proverò. Qualcuno che lo ha fatto si è aiutato realizzando dei versi, delle poesie che le frequenze dei colori sono state in grado di suscitargli. Parole che mimano l’emozione. Non per nulla ci si azzarda a tirare in ballo alcuni concetti relativi alla fisica quantistica. I colori, infatti, sono frequenze che rappresentano delle vibrazioni, veri e propri concentrati di energia di cui è impossibile calcolare il senso, capaci persino di sottili e impercettibili sensazioni ipnotiche.
Ed è proprio l’indeterminatezza delle opere d’arte di Albertalli, della materia e delle sostanze che le compongono, così autonome nel posizionarsi e trovare dei loro equilibri formali, particolarmente affascinanti, a caricarle di un significato esoterico e misterioso. Ognuno può interrogarle come vuole e riceverà risposte adeguate. E a volte, incredibili illuminazioni. Insomma, sono opere capaci di un dialogo intimo con il fruitore che va ben oltre qualsiasi spiegazione razionale.
Altre opere, che egli definisce materiche, sono realizzate con polveri di quarzo, marmo tritato e resine. Il risultato è anche in questo caso particolarmente efficace, creando un “effetto acquario” particolarmente suggestivo e cangiante in rapporto con la luce del giorno. Senza dimenticare il piacere di lasciare che le dita della mano accarezzino le rugosità della superficie, stimolando anche il senso del tatto, spesso sacrificato di fronte alle opere d’arte classiche, che sono sacralmente “intoccabili”.
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Anche Florine Offergelt ha trascorsi artistici. Dopo una vita in giro per il mondo, sui palcoscenici a fianco del marito, noto illusionista, è tornata ai suoi primi amori, all’attenzione verso la pittura ma soprattutto la scultura con la creta. Vera esperta nella tecnica ceramista, nella sua approfondita ricerca creativa ha voluto indagare il senso del mistero umano, cogliendo attraverso simbologie e trasfigurazioni delle forme, in modo speciale la sfera, la ricerca dell’equilibrio dell’esistenza. Vedasi l’opera “Il mondo nelle nostre mani”.
Purtroppo, nella mostra, saranno presenti solo pochi esempi delle numerose opere dell’Artista, già esposti in musei, lussuosi hotel, case private. Tra questi lavori, segnaliamo “Maybe I’m not perfect, but some parts of me are excellent”: la scultura di un uomo nudo, colorato in blu, ben piantato su un parallelepipedo rosso con le estremità decisamente sproporzionate ma con la testa rivolta verso l’alto. Come non cogliere nel lavoro la sottile ironia della pochezza umana, che aspira all’infinito ma è indissolubilmente legata alla terra?
Offergelt utilizza la sua, in certi casi, corrosiva vena satirica, per realizzare i suoi busti, si veda “Uomo con lemure in testa”, come strumento deformante, liberatorio, giocoso per irridere l’umanità più presuntuosa, ricondurla alla sua vera essenza, sublimando nel caso specifico, attraverso un viso ben delineato – da apparire quasi maschera carnevalesca – che assurge a dignità provocatoria, tutte le sue ambizioni frustrate.
E la maschera è un altro importante archetipo nel mondo figurativo della Offergelt. Basti pensare a un’opera “Beyond Appaearance” che mette insieme in una visione sferica – allusione che ritorna – diverse maschere, solo sbalzate o tridimensionali, che rimandano alle tragedie greche, nell’intento di rappresentare la difficoltà di scoprire e comprendere quale sia in realtà il vero volto dell’uomo, che cosa si celi dietro le apparenze e i ruoli che la nostra società ci impone di svolgere.
L’Artista ha una capacità tutta sua di trasmetterci attraverso un lavoro scultoreo attento, spesso volutamente inquieto, ma in certi casi fortemente attratto da un simbolismo di caratura quasi classica, un messaggio forte e inequivocabile di speranza e di fiducia nel futuro. Si prenda ad esempio “L’angelo del fango”, dedicato a quei giovani che il 4 novembre del 1966, durante la grande alluvione di Firenze, con grande generosità, da tutta Italia, raggiunsero il capoluogo fiorentino per salvare i libri delle biblioteche, inghiottiti dalle acque dell’Arno.
Il giovane nudo, con le ali, seduto, il pugno serrato sul libro, sembra un opera in marmo. Ma è ceramica. Eppure non solo non perde la forza drammatica di senso, anzi, è capace di trasfigurarla donandole un valore ancor più universale. Dal fango che distrugge alla creta che salva e che crea perché è proprio dalla creta, come dice l’affascinante artista di origine olandese, che Dio ha creato l’uomo.