di Stefania Bortolotti
Farmaci biologici e farmaci biosimilari, simili, ma non identici; cautela nel considerare automaticamente valide per il biosimilare tutte le indicazioni approvate per il biologico; libertà per i medici di prescrivere la terapia più appropriata; informazione corretta al paziente e suo coinvolgimento nel percorso di cura; diritto a mantenere la stessa terapia una volta iniziata la cura.
Sono questi i capisaldi del “Manifesto dei diritti e dei bisogni” sui farmaci biosimilari presentato oggi a Roma: l’iniziativa è promossa da un gruppo di Associazioni dei pazienti decise a far sentire anche la propria voce su un tema di grande attualità.
«Oggi tra i pazienti c’è molta preoccupazione per il prossimo arrivo dei biosimilari sul mercato – dichiara Antonella Celano, Presidente di A.P.MA.R. Onlus, Associazione Persone con Malattie Reumatiche Onlus – per le Associazioni dei pazienti è doveroso ottenere le rassicurazioni necessarie sugli effetti di questi farmaci, che devono rispondere ai requisiti e ai criteri di benessere e di salute dei pazienti. Lo scopo del Manifesto è duplice: da un lato, far presente il problema a livello istituzionale e tenere alta l’attenzione affinché il paziente riceva le giuste informazioni; dall’altro, sostenere il medico prescrittore affinché si senta supportato a prescrivere il farmaco più appropriato secondo scienza e coscienza».
Uno dei punti di maggiore discussione riguarda la possibile equivalenza tra un farmaco biologico originatore e un farmaco biosimilare. Come riconosciuto dalle norme dell’Ente Regolatorio europeo (EMA) e italiano (AIFA), complessità molecolare e aspetti inerenti l’immunogenicità rendono farmaci biologici e biosimilari simili ma non identici. Di conseguenza i due tipi di farmaco non sono interscambiabili e non vale per loro il principio della sostituibilità automatica.
«L’EMA ha necessariamente dovuto fare riferimento al concetto di biosimilarità, poiché i farmaci biosimilari sono molecole complesse di natura proteica che si possono produrre solo per mezzo di processi di sintesi biologica – afferma Corrado Blandizzi del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università degli Studi di Pisa – tali processi sono inevitabilmente soggetti a fattori di variabilità che possono determinare la biosintesi di molecole proteiche simili ma, di fatto, non identiche. Molecole simili, ma non identiche, della stessa proteina-farmaco potrebbero indurre effetti diversi sia in termini di efficacia sia di sicurezza».
Un punto nodale che preoccupa i pazienti è la possibilità di trasferire al biosimilare le indicazioni approvate per il biologico originatore, la cosiddetta estrapolazione automatica, senza ulteriori sperimentazioni. La richiesta in tal senso è che ciascuna indicazione d’uso sia supportata da studi controllati e randomizzati, metodologicamente rigorosi e con specifici endpoint.
«Il problema dell’estrapolazione è un punto cruciale del discorso biosimilari – spiega Stefania Canarecci, Presidente A.M.I.C.I. Lazio Onlus, Associazione Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali – si sa, infatti, molto circa l’efficacia e il profilo di tollerabilità del biologico, usato nella pratica clinica ormai da quasi quindici anni, lo stesso non può dirsi per il biosimilare. Lo switch potrebbe presentare rischi considerando che il farmaco biologico e il suo biosimilare non sono identici».
Ciò di cui si discute è se, una volta iniziata la terapia con un farmaco biologico, si possa imporre, magari per ragioni economiche, il passaggio al biosimilare, il cosiddetto “switch”: gli specialisti sottolineano il valore della continuità terapeutica ovvero l’opportunità di non modificare la terapia già in corso con un farmaco biologico.
«Lo switch non risponde a un “unmet medical need”: il medico ha già a disposizione tutti i farmaci prescrivibili e non c’è la necessità clinica di averne uno uguale a quello già usato – dichiara Giovanni Lapadula, Direttore Dipartimento Interdisciplinare di Medicina (DIM), Università degli Studi di Bari e Professore ordinario di Reumatologia, Università degli Studi di Bari – i biosimilari nascono da un’esigenza economico-sociale. L’arrivo sul mercato dei biosimilari non comporterà il cambiamento automatico di tutte le terapie in corso con i farmaci originatori. Le motivazioni economiche e sociali dovranno armonizzarsi obbligatoriamente con le esigenze cliniche dei singoli pazienti».
Da parte loro, le Associazioni dei pazienti richiamano l’attenzione sulla mancanza, al momento, di adeguate evidenze cliniche che legittimino e possano giustificare il passaggio dal farmaco biologico originatore al suo biosimilare. «Occorre cautela nell’effettuare lo “scambio” e la decisione può essere presa solo dal medico – dice Salvatore Leone, Direttore Generale di A.M.I.C.I., Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino – è però indispensabile ottenere l’evidenza richiesta per poter concludere che tra i vari prodotti non sussistano differenze in termini di potenziale immunogenico ed è fondamentale garantire al medico la possibilità di praticare tutte le opzioni».
Il timore per i pazienti è che esigenze di risparmio possano condizionare la possibilità e il diritto di accedere alle migliori terapie disponibili. Ma in molti si chiedono se veramente l’arrivo e l’utilizzo dei biosimilari porterà a un effettivo risparmio e a una razionalizzazione dei costi per Servizio Sanitario Nazionale. «I vantaggi dell’alternativa biosimilare sono quelli di creare condizioni di competizione economica, e quest’ultima notoriamente implica riduzione dei prezzi e quindi risparmi finanziari oppure incremento delle persone in terapia» spiega Federico Spandonaro, Università Tor Vergata di Roma, CREA Sanità. «La dimensione dei risparmi finanziari dipende da molti fattori: in particolare dalle dimensioni del mercato dei farmaci biologici, che nel medio termine Assogenerici stima arrivi a 1,5 miliardi di euro. Questo dato risulterà probabilmente sovrastimato, in quanto i pazienti nel frattempo si sposteranno verso nuovi farmaci innovativi in arrivo sul mercato e una parte del risparmio si tramuterà in maggior utilizzo. Infine, non necessariamente per tutti i biologici sarà sviluppato un biosimilare».
Indipendentemente da quali saranno i risparmi effettivi, le Associazioni rivendicano l’importanza di scelte terapeutiche scevre da qualsiasi condizionamento economico perché «l’appropriatezza sanitaria deve venire prima di quella amministrativa» come afferma Renato Giannelli, Presidente Nazionale ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici. «Il pericolo che le esigenze economiche vengano anteposte al diritto dei pazienti a ricevere il miglior trattamento disponibile, esiste, è reale, ma noi dobbiamo contrastarlo per arrivare a comportamenti corretti che sappiano valutare in modo adeguato le opportunità e i rischi che conseguono all’utilizzo dei biosimilari».
I pazienti vogliono, inoltre, essere adeguatamente coinvolti nel percorso di cura e lo strumento più efficace è un’informazione esplicita e specifica su rischi, benefici ed evidenze cliniche legate al trattamento della patologia. All’interno di questo quadro il Consenso informato assume un’importanza cruciale.
«Il Consenso informato rappresenta oggi la condizione di legittimità di ogni intervento di carattere medico sanitario – osserva Marta Tomasi dell’European Centre for Law, Science and New Technologies dell’Università degli Studi di Pavia, Collaboratrice del Gruppo BioDiritto dell’Università degli Studi di Trento – tale presupposto di liceità è espressione della avvenuta trasformazione del rapporto medico-paziente che, abbandonato il tradizionale approccio paternalistico, si fonda oggi sul concetto di alleanza terapeutica e sulla centralità della figura del paziente e della sua autodeterminazione».
La scarsa informazione dei pazienti, che rischia di comprometterne il coinvolgimento nel percorso di cura, emerge dall’indagine civica condotta da Cittadinanzattiva sull’esperienza dei pazienti rispetto all’uso dei farmaci. «Il 41% dei pazienti non ha la minima idea di cosa sia un biosimilare – sottolinea Tonino Aceti, Coordinatore Nazionale Tribunale per i diritti del malato (TDM) e Responsabile Coordinamento nazionale Associazioni Malati Cronici di Cittadinanzattiva – avvertiamo la necessità di incrementare l’attività di informazione per i pazienti: il medico prescrittore, per primo deve poter offrire le giuste informazioni, con qualche accortezza in più nel caso dei farmaci biologici e biosimilari. In secondo luogo, l’informazione e la conoscenza su questioni più generali possono essere veicolate dalle istituzioni regolatorie del farmaco che coinvolgono l’intera collettività».