La nostra città si estende sempre più e, agli inizi del 1900, raggiunge l’importante traguardo di 500mila abitanti. Infatti, le numerose industrie che si affacciano su Milano e pure il commercio che prende piede, fungono da inequivocabile polo d’attrazione.
E proprio in quegli anni, mandati in pensione gli ultimi tram a cavalli (anno 1898), le nuovissime vetture che si mettono a disposizione dei cittadini sono 200 e possono utilizzare un’ampia rete già in gran parte elettrificata.
Milano riesce ad avanzare in tutti i settori, ma viene frenata nel suo sviluppo da una cinta daziaria che impone, lungo le mura, il pagamento di numerose gabelle per le merci in entrata. Perché si tengono in vita i dazi ? Molto semplice: rappresentano per il Comune un cespite di straordinaria importanza, tanto da contribuire sensibilmente a rimpinguare il bilancio.
Si tenta in ogni caso di ostacolare questa “barriera” (che penalizza non poco anche i lavoratori appena entrati in città con effetti personali), istituendo la ben nota “imposta di famiglia”. Questa tassa tuttavia, votata dal Consiglio comunale nel 1908, troverà una valida applicazione solo negli anni Venti. E la cinta daziaria verrà abolita più avanti, solo nel 1930…
Ma esiste anche un grosso problema, quello di offrire alloggi adeguati, a prezzi ridotti, alla popolazione che cresce. Grazie a particolari iniziative promosse dalla “Società edificatrice di case per operai” (conosciuta tout court come Edificatrice) qualcosa si muove in questo settore.
Infatti, il primo quartiere popolare nasce tra le vie Moscova, Montebello e San Fermo, mentre nel 1930 viene inaugurato il quartiere alla Fontana, su un terreno acquisito dall’Ospedale Maggiore. Ma in tema di case si fa avanti anche la Società Umanitaria, nata grazie all’importante lascito del banchiere Moise’ Loria, la quale si impegna nel costruire case per operai, affittate a prezzi calmierati.
Il suo primo quartiere nasce attorno a via Solari, al quale farà seguito un popoloso quartiere posto tra viale Lombardia e via Porpora. Il Comune di Milano non rimane alla finestra e crea l’Istituto per le Case popolari, praticando non soltanto affitti bassi, ma offrendo pure la possibilità di riscattare gli appartamenti.
Con il trascorrere degli anni, i quartieri si infittiscono e ricordiamo, ad esempio, quello di via Mac Mahon e quello di corso di Porta Vittoria. Si fa largo nel frattempo un leit motiv: abolire le code che si formano sui ballatoi delle case di ringhiera davanti ad un unico bagno. E ci si impegna perciò a costruire servizi igienici all’interno di ogni appartamento., puntando anche su ampi cortili e sui lavatoi.
Esiste qualcosa che marcia contro corrente, diremmo oggi con il cuore degli ambientalisti: il verde, purtroppo, si riduce entro spazi sempre più ristretti, sacrificando in diversi casi i giardini delle case patrizie. Citiamo ad esempio il palazzo Serbelloni in corso Venezia, ove alle sue spalle si estendeva un vastissimo giardino, purtroppo sacrificato in nome delle nuove costruzioni, questa volta decisamente signorili…