di Ugo Perugini —-
Si è aperta la mostra di Ugo Nespolo “Fuori dal coro” a Palazzo Reale, promossa dal Comune di Milano-Cultura, Studio Nespolo e realizzata grazie a Fondazione Bracco, main sponsor insieme a Skira che ha pubblicato il catalogo, e sarà visitabile fino al 15 settembre 2019.
Eclettismo e originalità, cultura alta e popolare: difficile muoversi tra questi opposti. Forse, impossibile. Come essere leggeri, senza essere superficiali, secondo la lezione di Calvino. In arte qualche esempio c’è. Uno tra tutti, Ugo Nespolo. E chi non lo conosce bene, può scoprirlo in molte (non tutte, naturalmente, perché sarebbe impossibile) delle sue sfaccettature d’artista (pittore, scultore, regista, scrittore, scenografo, designer, pubblicitario e, se non bastasse, patafisico), visitando la mostra (a ingresso libero) che gli è stata dedicata a Palazzo Reale, nell’appartamento dei Principi.
Chi ha l’ingrato compito di presentare artisti come Nespolo non ha a disposizione molte definizioni possibili. A parte l’etichetta di eclettismo, che va bene per ogni stagione, si tira fuori l’interdisciplinarietà, la poliedricità, o se si vuole essere più arguti il suo gusto di contaminare e contaminarsi, spaziando, senza remore o imbarazzi di sorta, tra tutti i settori della comunicazione visiva, nessuno escluso.
Geniale? Indubbiamente, Ugo Nespolo, esce da qualsiasi canone e ama sperimentare e, anche se etichettare vuol dire imbalsamare, resta comunque un artista “pop”. Che non vuol dire popolare, sic et simpliciter, o peggio, come va di moda oggi, “populista”. Maurizio Ferraris a questo proposito ha visto giusto: l’idea di Nespolo è che “non c’è niente di così basso da non meritare attenzione, ma anche non c’è niente di così alto da non meritare uno sberleffo”. E l’ironia, lo sgambetto improvviso in certe opere di Nespolo non vengono mai a mancare. Per nostra fortuna.
L’antologica di Ugo Nespolo, all’Appartamento dei Principi a Palazzo Reale, parte dalle sue prime esperienze degli anni Sessanta, quando conosce Baj e Pierre Restany che presenta le sue opere alla Galleria Schwarz. Di questo periodo, tra i vari lavori, segnaliamo quello più provocatorio Molotov. La tecnica dei “puzzles” è una scelta successiva che diventerà la sua cifra distintiva.
Negli anni appena seguenti, nasce in Nespolo l’amore per il cinema: realizza diversi film con artisti e intellettuali e questa sua passione continua fino ai giorni nostri: in una sala è possibile vedere a loop il cartone animato disegnato per Rai YoYo.
Negli anni Settanta e Ottanta, Nespolo sceglie materiali diversi per le sue opere come legno e alabastro e si trasferisce negli Usa, dove si avvicina alla Pop Art, elaborando un’arte ludica in contrapposizione con certi atteggiamenti elitari che non gli sono consoni. Poi si occupa con successo di design e grafica pubblicitaria con realizzazioni per varie grandi imprese, tra le altre, Richard Ginori, Swatch, BMW, Porsche, Piaggio, ecc. Il dialogo e il confronto tra tradizione artistica e universo iconografico della “civiltà dei consumi” non fa paura” all’artista.
Da non dimenticare, il Nespolo scenografo, autore anche di costumi per il teatro lirico. Chi visita la mostra potrà apprezzare numerosi modelli su legno e disegni. Altre sue opere, sono realizzate con maioliche dipinte, acrilici e foglie d’oro. O sculture in bronzo come la famosa “Lavorare, lavorare, lavorare, preferisco il rumore del mare”, realizzata nel 1999. Oppure opere realizzate con materiali preziosi, anche per ridare valore alla manualità, visto che in certi casi, lo afferma lui stesso, sembrava che “il saper fare fosse disdicevole”.
Di fronte a questi, per quanto semplici, accenni, si potrebbe essere tentati di incasellare le opere dell’artista piemontese come “arti minori”. Ma è proprio così? Le opere sono prima di tutto degli oggetti, degli arredi della nostra vita. Il senso vero del ready-made non sta nell’affibbiare a ogni oggetto l’etichetta di opera d’arte, per dimostrare che nelle cose non vi è mai qualcosa di intrinseco che le fa apparire superiori ma è il modo in cui le vediamo e le interpretiamo che può o meno valorizzarle (vedasi Duchamp).
Personalmente credo che Nespolo non ci stia a questo sillogismo, come dice Ferraris, piuttosto “nichilista”, anche perché l’attenzione, la cura, l’aspetto tecnicale (come arte applicata) che le rende gradevoli agli occhi e dotate di una loro autentica eleganza (se abbiamo paura a usare il termine bellezza) credo sia indubitabile.
Certo, Ugo Nespolo non nasconde che nella nostra epoca l’idea di arte (se non l’arte in sé) è in crisi. Però ritiene che si possa tornare all’arte, sfruttando il magazzino delle arti, cioè il nostro ricchissimo passato. Perché, come sosteneva Umberto Eco, “la risposta postmoderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente.”
E non basta. Bisogna guardare sempre con occhio critico, se non diffidente, a quella che si vuole definire “avanguardia”, dice Nespolo. Avanguardia che raramente si è schierata contro il potere – quando l’ha fatto l’ha pagata cara –, “preferendo al contrario in ogni tempo assecondare regimi e dittature”.