Nel 1400, a Milano, non erano rari gli attacchi a personaggi altolocati, che a volte si susseguivano con notevole crudeltà. Ricorderemo, ad esempio, l’assassinio di Giovanni Maria Visconti nel maggio 1412, perpetrato da un certo Facino Cane, noto e ricco condottiero, nemico giurato del secondo duca di Milano.
Galeazzo Maria Sforza ci lasciò le penne nel dicembre del 1476 sulla soglia della chiesa di Santo Stefano, pugnalato da tre nobili che più avanti specificheremo.
Nel 1484 Ludovico il Moro, in chiesa, riuscì per un pelo a cavarsela. Temendo una trappola, uscì da una porta laterale della basilica di Sant’Ambrogio, mentre i killer designati lo attendevano davanti all’ingresso principale.
Ma ritorniamo sull’uccisione di Galeazzo Maria Sforza. Con la famiglia dei Visconti si era già ai ferri corti, dopo che il duca fece rapire alcune loro nobildonne, sulle quali, come pare, sarebbero state effettuate ripetute violenze. L’odio da parte dei Visconti sali’ ovviamente alle stelle.
Una forte acredine nei riguardi di Galeazzo Maria si manifestò anche da parte degli Olgiati, originari di Poschiavo, offesi dal duca in più di una circostanza. Poco più tardi si aggiunse anche il disprezzo dei Lampugnani, per la ingiustificata confisca di diverse rendite.
Scattò una precisa congiura contro la sua persona, definito dai tre “crudele tiranno”, con la finalità di fargli pagare un salatissimo conto. Si approfittò di una funzione religiosa in Santo Stefano alla quale egli assistette in compagnia degli ambasciatori di Ferrara e Mantova
Da una delle panche si alzò, con viso falsamente contrito, Andrea Lampugnani. Gli si avvicinò con un comportamento assai mite, ma allo stesso tempo, estratto un lungo coltello, lo pugnalò freddamente alla pancia. Nel giro di pochi istanti, Girolamo Olgiati lo colpì al petto, mentre Carlo Visconti sferrò un fendente alla gola, che lo uccise in un mare di sangue.
Il tutto avvenne così rapidamente che i presenti, al momento, non si resero conto dell’accaduto. Poi fuggirono come impazziti. Ma la scorta di Galeazzo Maria non si fece trovare impreparata. Tra il fuggi fuggi generale, riuscì a catturare un domestico della famiglia Lampugnani. Torturato lo stesso giorno, egli pronunciò i nomi dei tre.
Con rapidità, il fermo dei tre ebbe luogo il giorno seguente e vennero immediatamente condannati a morte. Girolamo Olgiati resistette per qualche attimo davanti al carnefice, trovando la forza di pronunciare in latino la seguente frase: “Mors acerba, fama perpetua, stabit vetus, memoria facti” (la morte crudele da’ fama perenne e il ricordo di questo avvenimento resterà scolpito nel tempo).
E infatti, nei decenni a seguire, Girolamo verrà ricordato come figura eroica, coraggioso combattente contro la tirannia.