di U.P.
Al Filodrammatici fino al 3 marzo “Per la Ragione degli altri”, tratto dalla commedia che Pirandello scrisse nel 1895 nella versione di Michele Di Giacomo (che è anche regista e attore) e Riccardo Spagnulo, con Giorgia Coco e Federica Fabiani. Una produzione Alchemico Tre.
E Pirandello approda ai nostri giorni tra televisori, telefoni cellulari, schermi, computer, microfoni. Un Pirandello che questi mezzi elettronici rendono più asettico e freddo. D’altra parte, sono loro i veri protagonisti sulla scena. E, grazie a loro, si assiste alla vivisezione del concetto di famiglia, se possibile ancora più disumana rispetto all’idea originaria che aveva in mente il drammaturgo siciliano.
Il triangolo Moglie, Marito, Amante, è composto più che da persone vive da entità, pedine senza nome, maschere che si muovono ognuno rispettando (o cercando di farlo) il proprio ruolo, monadi che dovrebbero costituire, in formazione diversa, una famiglia vera ma che al contrario rappresentano solo un intrico di egoismi, nel quale qualsiasi sentimento di pietà o di amore sembra latitare.
In questo triangolo esplosivo il ruolo di “detonatore” spetta alla figlia che il Marito ha avuto dall’Amante, una bambina (l’unica che ha un nome, Dina). Il Marito abbandona la Moglie, di famiglia benestante, per vivere con l’Amante e dedicarsi alla figlia che però non riesce a mantenere. Deciderà, allora di tornare dalla Moglie, che lo accoglie e lo perdona a condizione che porti con sé la figlia, togliendola all’Amante e risolvendo così la sua angoscia di essere sterile.
Qual è il senso della famiglia, oggi? Qual è il ruolo del padre? E quello della madre? Si può parlare di famiglia se non ci sono figli? Il Marito, giornalista, sta conducendo un’inchiesta su questi temi. Intervista persone. Cerca di farsi un’idea. Segue manifestazioni a favore dell’istituzione famigliare (immagini dal “family day” scorrono sul televisore, si vedono Maroni, la Meloni), raccoglie interventi di psicologi (viene riprodotta anche una dichiarazione di Recalcati che parla del ruolo del padre). Ma il Marito non farà in tempo a concludere l’inchiesta perché verrà licenziato.
Ma i veri temi, che però appena affiorano in superficie, sono la precarietà del lavoro, la paura dell’emarginazione, la supremazia del denaro, come unica soluzione dei problemi nella nostra società, in grado anche di convincere l’Amante a cedere la figlia nella speranza che sia possibile garantirle un futuro migliore. Insomma, una società disumana, dove la famiglia non fa altro che scendere a patti. Ma non solo la famiglia anche i sentimenti si piegano di fronte alle dure leggi dell’economia.
Passano in second’ordine i nervi scoperti che Pirandello amava toccare: la reazione e il giudizio degli Altri, la maschera che mettiamo per nascondere il nostro vero volto, la reazione della Piazza. Aspetti che forse in piccole comunità hanno ancora qualche senso ma che nelle megalopoli, dove tutti sono ormai diventati dei numeri, di senso non ne hanno più o ne hanno ben poco.
E Marito e Moglie, alla fine, nuovamente insieme, porteranno via con loro la figlia che non è altro che un’immagine su un computer portatile. Oggetto, simbolo di una famiglia perfetta, ma probabilmente non una persona da amare.
L’impostazione tecnologica della commedia “Per la ragione degli Altri” toglie molto alla tensione di certe scene. Il fatto che gli attori siano costretti a svolgere più ruoli: direttore del giornale, padre della Moglie (d’altra parte, bisogna risparmiare!) svilisce certi dialoghi. Rimangono alcune scene forti: il Marito sopraffatto dalla folla che manifesta, il teso dialogo finale tra Moglie e Amante. Ma, nonostante il lodevole impegno degli interpreti, l’effetto drammatico non ci pare raggiunto in pieno.