di Ugo Perugini …
Pochi sanno che Palazzo Reale, un secolo fa, dopo la cessione da parte di Casa Savoia, avrebbe dovuto diventare un Museo di mobili e Arti decorative, su progetto di Guido Marangoni, critico d’arte e designer, già sovraintendente del Castello Sforzesco, oltreché deputato socialista.
Con l’avvento del fascismo, nel 1922 il Podestà bocciò l’iniziativa, che venne spostata a Villa Reale a Monza, e Palazzo Reale venne destinato ad esposizioni d’arte e museali.
La caratteristica originaria di Palazzo Reale viene oggi ripresa ospitando nelle 12 prestigiose stanze dell’appartamento dei Principi, restaurato nel 2008, la mostra di gioielli di una delle più importanti Maison francesi, Van Cleef & Arpels, guarda caso fondata nel 1906, proprio quando a Milano si teneva la grande Esposizione Universale.
Non si tratta, comunque, solo di una semplice mostra di gioielli. Dietro a questi preziosi e raffinatissimi manufatti, c’è la storia dei gusti di un’epoca, la qualità del lavoro artigianale, la creatività e la competenza artistica degli esperti che li hanno realizzati, oltre alla cultura e alle storie, anche private, che ogni pezzo porta con sé.
Alba Cappellieri, curatrice della mostra, ci tiene a precisare che sono tre i concetti attorno ai quali ruota questa esposizione: il tempo, la natura e l’amore. Valori essenziali perché il tempo plasma l’estetica dei gioielli, attraverso l’utilizzo di materiali preziosi e tecnologie diverse che si affiancano a un gusto che evolve e si affina tra ricerca innovativa e lo sguardo verso l’atemporalità, l’eternità.
L’idea è che il gioiello non sia solo strumento effimero di seduzione, ornamento, decorazione, ma elemento di tradizione, moda, investimento, incarnando i valori assoluti di bellezza e cultura e riuscendo a cogliere in pieno lo spirito del tempo (Zeitgeist). Senza dimenticare l’eccellenza artigianale che sta dietro ad ogni realizzazione ed è confermata dalla presenza nelle sale di documenti di archivio, disegni preparatori, gouache, ecc. oltre a un filmato che documenta il lungo e preziosissimo lavoro degli artisti/artigiani.
La curatrice si è rifatta ad Italo Calvino e alle sue Lezioni americane per intitolare le sale espositive: leggerezza, rapidità, visibilità, esattezza, molteplicità. Senza dimenticare l’importanza di quella che Cappellieri definisce la cross-fertilization, cioè la contaminazione fruttifera tra arti e culture diverse.
Sarà compito degli ammirati visitatori, che ci si augura siano numerosi, anche perché l’ingresso è libero, scoprire le bellezze e le curiosità di queste raffinate opere d’arte. Da parte nostra, solo qualche stimolo: come la collana indiana del 1971 con oltre 745 diamanti per un totale di 52 carati e 44 smeraldi, che ha fatto parte della collezione dell’Aga Khan; un girocollo del 1928 (collerette) in platino e diamanti; la clip che mostra una piccola fata alata (platino, rubini, smeraldi e diamanti) appartenuta a Barbara Hutton; la clip Pivoine, del 1937, platino, oro giallo, rubini e diamanti, appartenuta alla principessa Faiza d’Egitto; la Collana zip, realizzata ispirandosi a una chiusura lampo, e che si trasforma in bracciale (platino, oro giallo, zaffiri, rubini e diamanti); la Clip Cercle del 1931, sullo stile Art Déco; le spille ispirate alle grandi opere teatrali, Cyrano, Romeo e Giulietta; la Collana Lion Barquerolles, regalata da Richard Burton ad Elizabeth Tylor; il famosissimo Diadema che il Principe Ranieri regalò a Grace Kelly o, per finire, la Clip Feuilles, 1967, appartenuta alla grande cantante lirica Maria Callas.
Un viaggio, quindi, affascinante all’interno di un mondo destinato a pochi, perché il lusso a questi livelli è un desiderio che non può avere a che fare con i nostri bisogni ma con i nostri sogni e che per la maggior parte delle persone diventa irraggiungibile.
Forse, a questo punto, anche Italo Calvino, pur tirato in ballo dalla Cappellieri, potrebbe avere qualcosa da ridire. La sesta Lezione americana che non fece in tempo a realizzare avrebbe dovuto intitolarsi Consistency, intesa anche come coerenza logica. Da parte nostra, ci basta ricordare un brano delle Città Invisibili, sempre di Calvino, in cui lui descrive Moriana, la città trasparente, che assomiglia un po’ alla Milano di oggi, la metropoli europea piena di fascino, nella quale, più ti allontani dal centro più aumenta la disuguaglianza e il divario tra povertà e ricchezza e dietro a mostre come questa di Van Cleef & Arples, anche se non vuoi, intravvedi le case popolari, l’inquinamento, le code alle mense dei frati, la droga che scorre a fiumi, la violenza delle periferie …
La Mostra il presso Palazzo Reale è aperta fino al 23 febbraio 2020 è ad ingresso gratuito. Skira ha realizzato uno splendido catalogo sulla Mostra.