di U.P.
La pandemia ha colpito duro anche una città come Milano, abituata a lavorare sodo e affrontare con coraggio tutte le difficoltà e le tragedie che le piombano addosso. Il Covid-19 ci ha lasciato tutti un po’ stremati. Anche perché appena sembra che sia possibile riprendere una “new normality”, come si dice oggi, arriva l’ennesima ondata che ci affonda di nuovo nell’angoscia.
Milano ne ha passate tante ma si è sempre risollevata e ne è uscita ancora più forte. Lo farà anche questa volta. Il cambiamento ci fa paura soprattutto quando ci stiamo passando attraverso, perché dobbiamo abbandonare vecchie abitudini, tradizioni consolidate, lasciare quella che i sociologi chiamano la nostra “confort zone” e affrontare un futuro incerto, che ancora non conosciamo bene.
Il cambiamento ci fa paura sempre
In realtà, temiamo il cambiamento anche quando è destinato a portare dei grandi progressi. A questo proposito, ci viene in mente il libro di Emilio De Marchi, intitolato Milanin Milanon, dove lo scrittore rimpiange la città di un tempo e guarda con un certo timore quella metropoli che sta diventando.
Ecco un passo significativo del suo libro:“Sto Milan Milanon el sarà bell, no disi. Gh’è di piazz, di teater, di cà, di contrad, di palazz, di bottegh, di istituzion che ai nòster temp no gh’eren che a Paris; gh’è gent che va, che corr, che tas, che boffa, sú e giò per i tranvaj, sú e giò per i vapor, de dí, de nòtt, che no se troeuva on can che faga el quart”.
(Questo Milano Milanone sarà bello, non dico. Ci sono piazze, teatri, e case, strade, palazzi, botteghe, istituti che ai nostri tempi c’erano solo a Parigi; gente che va, che corre, tace, sbuffa, su e giù per i tramvai, su e giù dai treni, di giorno e di notte, che non si trova un cane per fare il quarto).
Il “magone” di ieri e di oggi
E in un altro punto del libro di De Marchi, che è una lettera aperta a Carlo Porta, lo dice ancor più esplicitamente: “Sto progress che boffa e sgonfia che sconquassa i nòster cà, e che no lassa requijà, a nun mètt el magon”.
Il “magone”, o tristezza, che dir si voglia, colpisce anche noi oggi con questa pandemia strisciante che obbliga al distanziamento, al sospetto se qualcuno starnuta o tossisce, che non ci permette di vedere se una persona con cui parliamo sorride, che ci impedisce di uscire dopo una certa ora a causa del coprifuoco.
Partendo dal Milanin Milanon di De Marchi arriviamo allo spettacolo che nel dicembre 1962 debuttò con lo stesso titolo al Gerolamo. Era una rivista musicale collettiva con canzoni, filastrocche, canti di strada, ballate popolari di città e campagna, di lavoro e svago, strofe politiche, satiriche, patriottiche che ricordavano, con un bel pizzico di nostalgia, la vecchia Milano. E un sottotitolo chiarificatore “Tutto quello che avreste voluto sapere sulla vecchia Milano e non sapete a chi chiederlo”.
Tra i partecipanti Carpi, D’Anzi, Della Mea, Negri, Panzeri, Strehler, Fo, Santucci, un giovane Jannacci e le poesie di De Marchi, Dossi, Porta, Gadda, Quasimodo, Tessa, Fortini. Lo spettacolo ebbe un grande successo di pubblico e di critica.
Ricordare la vecchia Milano per immaginare quella del futuro. Quella che avrà finalmente superato questa brutta pagina, sporcata dalla pandemia. E’ solo un altro modo per ritrovare un po’ di ottimismo…