mercoledì, Ottobre 9, 2024
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Lupus, parola d’ordine: proteggere i reni

…dalla ricerca GSK il primo anticorpo monoclonale per il trattamento della nefrite lupica

Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) non è una malattia rara: sono 5milioni le persone che ne sono affette in tutto il mondo, di cui oltre 60.000 in Italia. Colpisce per lo più le donne in età fertile, nella fascia di età che va dai 13 ai 55 anni, in un rapporto di 9 a 1 rispetto agli uomini. L’incidenza annuale di questa malattia, in media, è di 80-100 casi per ogni 100.000 abitanti e si può presentare anche in età pediatrica e senile. “Il Lupus è una malattia sistemica: interessa più organi, come la pelle, le articolazioni, i reni, il sangue, i tessuti connettivi e il sistema nervoso. È autoimmune, vale a dire che il sistema immunitario della persona che ne è affetta auto-aggredisce l’organismo, ed è cronica, parola che non ha bisogno di spiegazioni”, affermano gli esperti.

Ma se pensate che il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) coinvolga esclusivamente la pelle e le articolazioni, siete fuori strada. E forse bisogna ritornare alla definizione di Paracelso, che parlava del lupus come di “un lupo affamato che divora i tessuti”. Il LES, infatti, induce una serie di alterazioni che possono interessare diversi apparati, con frequente coinvolgimento dei reni che sono fondamentali per il benessere dell’organismo. Circa il 40% dei pazienti con LES è destinato a sviluppare una patologia renale (glomerulonefrite) entro due anni dalla diagnosi di LES.

In Italia, e non solo, oggi, è possibile agire espressamente su questa condizione con una medicina di precisione: belimumab è un anticorpo monoclonale somministrabile sia per via endovenosa che sottocutanea, i cui dati clinici denotano un elevato profilo di efficacia e sicurezza e che lo specialista può impiegare in base alle caratteristiche e alle necessità del paziente. Belimumab, con questa nuova indicazione, si conferma come una vera e propria rivoluzione nel trattamento del LES: oltre ad essere stato il primo farmaco a rendersi disponibile per questa patologia dopo 50 anni di sostanziale assenza di terapie specifiche per il LES, oggi rappresenta anche il primo monoclonale che può essere somministrato in caso di nefrite lupica.

Belimumab è il capostipite di una nuova classe di farmaci, gli inibitori BLyS-specifici. Viene somministrato attraverso infusione endovenosa lenta oppure attraverso formulazione sottocute ed è prodotto per tutto il mondo nello stabilimento GSK di Parma, un centro di eccellenza mondiale per la produzione di antivirali e anticorpi monoclonali che produce anche sotrovimab, per il trattamento della malattia da SARS-CoV-2. La nuova indicazione al trattamento con belimumab per la nefrite lupica nasce da una serie di studi ed in particolare dai risultati dello studio BLISS-LN (Efficacy and Safety of Belimumab in Adult Patients with Active Lupus Nephritis). Il trial clinico, il più lungo ed ampio studio di fase III sulla nefrite lupica attiva, ha coinvolto 448 pazienti adulti ed ha evidenziato come, nell’arco di due anni, belimumab, aggiunto alla terapia standard, ha aumentato i tassi di risposta renale positiva alle terapie e ha contribuito a prevenire il peggioramento della malattia renale nei pazienti con nefrite lupica attiva rispetto alla sola terapia standard.

Diagnosi precoce e terapia mirata per la nefrite lupica

“La glomerulonefrite lupica è la forma più diffusa e grave dell’interessamento renale della patologia, presente in oltre 40% dei pazienti – afferma Stefano Bianchi, Presidente Società Italiana di Nefrologia (SIN) e Nefrologia e Dialisi ASL Toscana nord-ovest. Nella metà di loro può avere conseguenze gravi ed essere causa di insufficienza renale, con possibile evoluzione verso la dialisi o addirittura il trapianto. Riconoscere prima possibile questa condizione è fondamentale per giungere a trattamenti mirati nefroprotettivi, nell’interesse del paziente”. Come se non bastasse, va detto che questa condizione spesso è silente da un punto di vista soggettivo e pertanto deve sempre essere ricercata, fin dal momento della diagnosi di LES. “Per questo è necessario che reumatologo e nefrologo gestiscano assieme il paziente con LES e che questa presa in carico avvenga per quanto possibile in centri di eccellenza, che seguono numerosi   pazienti ed hanno esperienza e conoscenza per gestire al meglio le opportunità di cura e l’accesso all’innovazione, rappresentata da farmaci come belimumab – ricorda Gian Domenico Sebastiani, Presidente Società Italiana di Reumatologia (SIR) e Direttore Unità Operativa Complessa Reumatologia presso Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini.

Fondamentale l’approccio multidisciplinare

La disponibilità di un farmaco espressamente studiato per i pazienti con nefrite lupica, che ha già dimostrato un valido profilo di sicurezza e tollerabilità nell’impiego per il LES, rappresenta un passo avanti importante, sia per gli specialisti che per i pazienti. E può rivelarsi un’importante opportunità per chi soffre della malattia ed i caregiver. “La disponibilità dei farmaci biologici per il trattamento del lupus e in particolare per la nefrite lupica, rende ancor più fondamentale la gestione e la presa in carico multidisciplinare per i pazienti, che hanno diritto ad un inquadramento precoce della patologia e ad una diagnosi precisa del coinvolgimento dell’organismo per poi poter avere il trattamento più appropriato – segnala Rosa Pelissero, Presidente del Gruppo LES. Questa è una richiesta fondamentale che i malati di lupus e le loro famiglie pongono alle Istituzioni sanitarie e scientifiche: il trattamento presso centri di eccellenza, in cui reumatologo e nefrologo lavorano insieme e con altri specialisti, rappresenta la modalità più efficace per una gestione ottimale della patologia”.

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