di Ugo Perugini
Anche la storia dell’arte è stata spesso oggetto di pregiudizi o di travisamenti. Ne sono una prova certe interpretazioni che risalgono al Vasari e che considerano l’arte lombarda molto al di sotto rispetto al primato toscano. E i preconcetti, lo sappiamo, sono duri a morire. Ci sono voluti tanti anni prima che questa idea venisse abbandonata.
Chi ha completato il processo di riabilitazione della tradizione culturale e artistica lombarda “dagli ultimi residui del lungo complesso di inferiorità” come afferma lui stesso, è proprio Roberto Longhi grazie alla mostra del 1958, realizzata a Milano insieme a Dell’Acqua e intitolata proprio “Arte lombarda dai Visconti agli Sforza”.
Una Mostra che – e non poteva essere altrimenti – ha rappresentato il faro, il punto di riferimento della nuova esposizione che si apre oggi sempre a Palazzo Reale, intitolata “Dai Visconti agli Sforza. Milano al centro dell’Europa”. Titolo identico ma sottotitolo importante che rafforza il ruolo della nostra città come polo di attrazione creativa e di influenza artistica. In Europa, ma anche nel mondo.
Tra le due Mostre, naturalmente, sono passati quasi sessant’anni di studi e approfondimenti che hanno consolidato le teorie di Longhi. La mostra del 2015, curata da Mauro Natale e Serena Romano, ha richiesto quasi quattro anni di preparazione, con 142 enti prestatori, tra cui la maggioranza stranieri, e ad essa è affidato il compito prestigioso di aprire il programma espositivo di Expo in città.
Una esposizione, quella che si tiene a Palazzo Reale, che potrà fungere da apripista per la mostra di Leonardo di prossima apertura e potrà favorire altre visite al Duomo (sono gli anni in cui si dà il via al grande cantiere della cattedrale) e al Castello Sforzesco, oltre che interessanti uscite “fuori porta” come ad esempio Pavia, che era stata sede della corte e anch’essa attivo centro delle botteghe alle quali vengono affidate grandi imprese decorative.
Due secoli di storia lombarda, dal primo Trecento al primo Cinquecento fino alla venuta dei francesi, con oltre 250 opere, selezionatissime e, in molti casi, mai esposte al pubblico. Questo quello che si potrà ammirare in estrema sintesi. Il criterio espositivo è quello della ricostruzione storica. Particolarmente efficaci ma al contempo sobrie le informazioni che indirizzano il fruitore e gli consentono di comprendere la storia politica del momento e la corrispondenza con gli avvenimenti artistici.
Altro aspetto su cui soffermarsi è l’eterogeneità delle opere e dei materiali presenti: pittura, scultura in marmo, legno, pietra, oreficeria, miniatura, vetrate, affreschi, arazzi, pittura mobile su tavola, libri illustrati e miniati che rappresentano ancora una volta la grande capacità lombarda di fondere creatività e artigianato, gusto per il bello e abilità manuale. Caratteristiche ancora oggi presenti e vincenti nel “made in Italy”.
Ora una breve carrellata delle sezioni e sottosezioni della Mostra. Dopo una galleria dei ritratti delle due dinastie, i decenni centrali del Trecento sono caratterizzati dall’arrivo di alcuni artisti stranieri – Giotto, Giovanni di Balduccio – che imprimono una svolta importante alla cultura lombarda ancora legata a tradizioni austere e arcaiche.
La seconda sezione, attorno al 1400, vede l’apertura del cantiere del Duomo con Gian Galeazzo Visconti che favorisce i contatti con i grandi centri artistici europei; in primo piano personaggi come Giovannino de’ Grassi e Michelino da Besozzo. La terza sezione descrive il lungo regno di Filippo Maria Visconti, con la crisi del ducato che non rallenta la realizzazione di manufatti preziosi, tutti sotto l’influenza dello stile tardo-gotico. Tra gli autori presenti, Maestro Paroto e Bonifacio Bembo con i suoi tarocchi.
Nella quarta sezione, si analizza l’influsso di Francesco Sforza che scalzando i Visconti si apre al linguaggio padovano di Vincenzo Foppa e alla disponibilità ad accettare influenze artistiche diverse. C’è il desiderio di capire il mondo fiammingo (Zanetto Bugatto andrà a Bruxelles per questo motivo) e di trovare un modo più sobrio, severo, razionale di produrre le immagini (ricordate il “rigore ruvido” di Foppa?).
L’ultima sezione rappresenta gli anni di Ludovico il Moro. Anni di grandi trasformazioni nell’ambito dell’urbanistica, dell’architettura e la presenza di personalità come Bramante, Leonardo e Bramantino lo confermano. Ma Milano, anche in questi anni, conserva il primato del lusso (“Il lusso degli ori” come diceva Longhi) che si riverbera negli smalti, nelle oreficerie elaborate, nei ricami raffinati, quasi un anticipo del “design” moderno come cifra stilistica comune. Qui si trovano, tra le altre, opere di Gian Antonio Boltraffio, Ambrogio De Predis e Bernardo Zenale.
Una mostra che richiede pazienza e tempo per essere vista e ammirata come si deve. Ma vale la pena compiere questo itinerario se si vuole cogliere lo spirito lombardo autentico al quale tutti noi siamo peraltro debitori. Splendido, come al solito, il catalogo realizzato da Skira in tempi record (quasi un “istant book, dice il Presidente Massimo Vitta Zeman). Da ricordare che Skira ha coprodotto la mostra insieme al Comune e con il contributo di UniCredit.
(La foto in alto è “Giovane con freccia mano al cuore in figura di San Sebastiano (1469) di Giovanni Antonio Boltraffio)