In piena dominazione spagnola, alcuni nobili madrileni corteggiavano le ragazze della nostra città con molta ostentazione, tanto che le molestie a carico di queste ultime erano piuttosto abituali anche se, fortunatamente, gli stupri non erano frequenti.
Gli atti giudiziari dell’epoca erano comunque abbastanza numerosi e anche certi racconti, riguardanti le disavventure subìte dalle poverine, evidenziavano certe rozze “impulsività” commesse soprattutto da parte di alcuni nobili spagnoli.
Era il caso di una certa Ernestina, una bellissima ventenne sposata con un armaiolo, titolare di una officina nel centro della città, la quale, nella chiesa di Sant’Eustorgio, era stata presa di mira da un certo don Inigo Villabos de Granada. Tentò di rivolgerle la parola non appena terminata la funzione religiosa, ma la ragazza, pronunciate un paio di frasi, se ne andò via senza dargli retta.
Saputo della bottega del marito, Giuseppe, don Inigo gli rese visita ordinandogli una spada con particolari incisioni, che richiedevano parecchie ore di lavoro. Di tanto in tanto si recava da Giuseppe per osservare come procedevano le cesellature, ma in realtà confidava di poter avere un incontro con Ernestina.
Terminati i lavori sull’arma, il nobile spagnolo tentò di contattare alcuni clienti del marito, che sicuramente conoscevano la ragazza, ma i colloqui non diedero alcun esito, nemmeno per un primo abboccamento. Egli ebbe però l’occasione, tra un interrogatorio e l’altro, di conoscere un imbroglione e bellimbusto di nome Renato.
Dopo l’esposizione dei fatti e grazie ad una importante ricompensa, Renato assicurò a don Inigo un incontro con la bella Ernestina. Frequentò l’osteria presso la quale Giuseppe era abituale cliente e, tra un bicchiere e l’altro di vino, se lo fece amico.
Dopo qualche giorno, Renato invitò Giuseppe e la moglie a trascorrere la domenica assieme presso una cascina del contado, ove un amico cuoco cucinava arrosti alla grande, innaffiati da un vino di alta qualità. Come d’accordo, Renato si troverà già sul posto accompagnato da una vecchia zia, mentre Giuseppe ed Ernestina raggiungeranno la località in calesse.
A mezzogiorno, i quattro erano già a tavola con ottimo appetito e i bicchieri, specialmente quello della sposina, era sempre colmo, grazie alle “premure” della zia.
Quando Ernestina avvertì qualche giramento di testa per effetto del vino, la zia si offri di accompagnarla nel bosco vicino. Un po’ di aria fresca l’avrebbe fatta ritornare sobria. Giuseppe, per contro, rimase alla cascina chiacchierando con Renato.
La zia fece stendere sull’erba la sposina ed ecco apparire, qualche istante dopo, la figura di don Inigo, esattamente come combinato dai due in modo vigliacco. Si mise a lato della sposina e iniziò i primi approcci, facendosi sempre più intraprendente. Questa, malgrado l’ubriacatura, reagì urlando, a tal punto che il nobile spagnolo rientrò nella boscaglia.
Tornando alla cascina, Ernestina non disse nulla al marito, volendo metterlo al corrente quando sarebbero stati soli. Le cose sembrarono riassestarsi quando don Inigo, non contento, avvicinò nuovamente Ernestina nella bottega, approfittando della momentanea assenza del marito. Stessa scena, stessi approcci e… grida laceranti.
Giuseppe, non lontano, capì il pericolo. Rientrò nel locale e ferì don Inigo ad un braccio con un colpo di spada. Lo spagnolo riuscì a fuggire e fece incarcerare il povero Giuseppe. La moglie, disperata, chiese subito udienza al Capitano di Giustizia, ma il colloquio non diede frutti.
Sapeva però che l’imperatrice Margherita Teresa di Spagna stava per entrare in Milano (15 settembre 1666). Implorando e piangendo con mille suppliche, riuscì a farsi ricevere. Venne finalmente ascoltata, creduta e ci fu pure un magnifico finale: la liberazione di Giuseppe.
Fiutati i pericoli di un possibile processo, don Inigo fuggì dalla nostra città e di lui si perse ogni traccia. Ernestina e Giuseppe tornarono a vivere serenamente e la coppia fu rallegrata da tre bellissimi bimbi.