giovedì, Aprile 25, 2024
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Lalla Romano, la scrittrice anticonformista

Graziella Romano, in arte Lalla, nasce in provincia di Cuneo nel 1906. Frequenta il liceo classico e nel 1928 si laurea a pieni voti con una tesi sui poeti del dolce stilnovo. E’ stata allieva dello storico e critico letterario Lionello Venturi, il quale l’aveva battezzata, forse per l’eccessiva riservatezza o per certe spinosità caratteriali, “cardo selvatico”.

La sua prima raccolta di poesie (“Fiore”) risale al 1941, che però l’editore Einaudi non vuole pubblicare. Sarà tuttavia ben accolta da parte di Frassinelli Edizioni. Ma veniamo alla sua prima opera, giudicata tra le più importanti, ossia “Le metamorfosi”, del 1951, una serie di brevi racconti che riguardano la descrizione di diversi sogni.

Eugenio Montale ne è entusiasta ed elogia soprattutto il suo stile assai incisivo, mentre la critica evoca, in questo contesto, una sorta di ravvicinamento nei riguardi di Marcel Proust. Lalla Romano non ha frequenti contatti con le sfere intellettuali e vive, tutto sommato, ben appartata.

Le sue narrazioni attingono spesso a materiale autobiografico, tanto che nel libro “La penombra che abbiamo attraversato”, del 1964, descrive soprattutto la sua infanzia e rivive molti ricordi di sua madre. Il libro ottiene un discreto successo, ma non conquista l’agognato Premio Viareggio.

In ogni caso, nel 1968, con il suo “Le parole per noi leggere”, si fa ottimamente conoscere presso il grande pubblico e ottiene meritatamente il Premio Strega. Qui, l’autrice effettua profonde riflessioni sul rapporto madre / figlio, mettendo in luce le molte asprezze di un ragazzo difficile, asociale e addirittura ribelle. E lei sembra anticipare le contestazioni e le rivoluzioni giovanili proprie del ’68.

Ciò che potremmo chiamare meccanismo descrittivo della sua memoria, scatta pure ne “La villeggiante” e nella “Lettura di immagini”, testi usciti entrambi nel 1975. L’acuto modo di esprimersi della Romano entusiasma non poco Pier Paolo Pasolini, il quale loda apertamente la sua prosa che definirà “fatta di brevi frasi, leggere e assolute”.

Ma i ricordi giovanili evocati dalla scrittrice volano anche al di là dei contenuti dei suoi libri e approdano infatti su Il Giorno, sul Corriere della Sera e su Il giornale di Indro Montanelli in una serie di interessanti articoli. Per Lalla Romano non esistono ancora gli idonei spazi per un meritato riposo. La tenace, infaticabile e anticonformista autrice non si arrende nemmeno davanti alla morte del marito Innocenzo Monti. E si impegna come non mai nel suo lavoro come se avesse vent’anni.

Questa sua passione letteraria contribuisce ad avvicinarla ad un giornalista, Antonio Ria, molto più giovane di lei e questi diventerà il suo nuovo compagno di vita e di lavoro. Sono entrambi accomunati dall’amore per l’arte ed insieme pubblicano, nel 1987, “Nei mari estremi”, ove Lalla rievoca la propria vita coniugale.

Seguiranno “La luna di Hvar” e “Un caso di coscienza”, e qui la scrittrice si presenta addirittura impietosa nei riguardi dei vizi della borghesia italiana, che descrive accuratamente. Ammalatasi nel maggio del 2001, ci lascia per sempre il mese successivo nella sua adorata casa milanese di via Brera.

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