martedì, Aprile 23, 2024
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FRANCO CARDINI: ISTANBUL TRA STORIA E DIVULGAZIONE

di U.P.

Conosciamo tutti Franco Cardini. E’ un tipo diretto, schietto, senza troppi peli sulla lingua. E a noi piace per questo motivo. Anche nel suo intervento dell’altro giorno presso la Sede delle Edizioni Terrasanta, in via Gherardini, per la presentazione del suo libro intitolato “Istanbul, Seduttrice, conquistatrice, sovrana”, (Mulino editore) non ha resistito a togliersi qualche sassolino dalle scarpe, riflettendo sulla sua professione di “storico”.

Recentemente, una persona che aveva assistito a una trasmissione televisiva di Rai Storia gli ha rimproverato un piccolo errore commesso sulla vita di Caterina de’ Medici. Una semplice svista. Cardini l’ha ammessa, costatando, non senza dispiacere, come la storia, dopo anni di attività divulgativa, ancora venga vista come una semplice enumerazione di fatti, dati, discendenze e non come un’attività di interpretazione e comprensione degli avvenimenti.

A questo proposito, ha ricordato la storia del padre gesuita che invano cercava di spiegare il significato delle cinque piaghe di Gesù al popolo napoletano, che si distraeva e non lo degnava di attenzione. A un certo punto il frate se ne uscì esclamando “Mo’, v’aggio a cuntà de Pulecenella!”. E, come per incanto, tutti si azzittirono, pronti ad ascoltare le sue parole.

Cardini appare pessimista. Sostiene che alcuni storici non abbiano assolto alla loro funzione civica che è quella di aiutare la gente a crescere, a capire. D’altra parte, qual è il compito della storia? La storia è in grado di raccontare la verità? In realtà, la verità storica è quella che emerge dalle ricerche degli storici ma non è assoluta, cambia, è una ricerca continua, è una scienza (ammesso che lo sia) in divenire.

Certamente si basa su fatti concreti. Bernheim, il famoso storico della metodologia, diceva che ci sono quattro stadi nella ricerca storica: l’euristica, cioè la verifica delle fonti, l’analisi filologica, la sintesi e poi, quella più complicata di tutte cioè l’esposizione. La ricerca storica fine a se stessa, può essere solo vanagloria. Occorre sempre un pubblico che la capisca e che la apprezzi. E per arrivare al pubblico, come diceva il frate di Pulecenella, bisogna saper coinvolgere le persone.

Cardini ammette di essere stato tentato dalla storia “romanzata”, quando gli chiesero di realizzare un lavoro sulla prima crociata. Scelse quasi per scherzo il taglio del romanzo che presuppone un lavoro di ricostruzione plausibile di una storia all’interno di quella “ufficiale” e questo suo lavoro ebbe un grandissimo successo. Il libro, ora negli Oscar Mondadori, intitolato “L’avventura di un povero crociato”, è diventato un best seller.

Il suo interesse per Istanbul risale però agli anni della sua giovinezza. Quando, verso il 1976, con alcuni amici fece il primo viaggio alla scoperta di questa città. Una delle immagini più vivide che l’autore ricorda è la nebbia traslucida e fittissima che avvolgeva di prima mattina la città e che, piano piano, si dissolse, partendo dal basso, come una quinta di teatro, mostrando le magnificenze della città imperiale di Istanbul. Forse, non aveva torto Napoleone quando sosteneva (lui non certo pacifista) che se in futuro il mondo si fosse unito senza più farsi guerre la capitale non poteva essere che Istanbul o Costantinopoli.

Quando la visitò Cardini, Istanbul era una città molto aperta e tollerante. Gli amici con cui aveva fatto il viaggio avevano parcheggiato il loro vecchio Fiorino, su cui dormivano, non lontano dalla Moschea azzurra. Alla mattina presto, Franco entrò a visitarla portandosi dietro un rosario della vecchia nonna. Un imam, per nulla scandalizzato del fatto che un cattolico pregasse nella Moschea, gli si avvicinò e gli regalò un rosario musulmano di 33 grani. Lo scopo, come noto, è quello di ripetere per tre volte i 99 nomi di Allah. Oggi sarebbe impossibile un episodio del genere.

Ma, oltre al clima, sempre più teso e difficile, sono cambiati anche i luoghi. Cardini ricorda di essere stato nella basilica-cisterna quando ancora era piena di acqua e la si poteva visitare a bordo di lugubri barche nere. La famosa testa di medusa capovolta, immersa nell’oscurità, veniva illuminata da un fascio di luce delle torce attraverso l’acqua con un effetto di grande suggestione. Oggi non c’è più acqua e la medusa è illuminata da faretti colorati come al luna park.

Insomma, l’invito di visitare Istanbul vale sempre, perché è una città splendida, tenendo conto però che le città cambiano, come cambiano gli uomini, le istituzioni e l’interpretazione della storia a seconda dei tempi. Non si può mai dire di aver visto un luogo, una volta per tutte. Anche il turista in un certo senso è preda di una sorta di revisionismo storico dei luoghi fatto da chi detiene il potere in quel momento. Esserne consapevoli è anche un modo più evoluto di fare turismo.

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