La futura, convinta seguace del socialismo umanitario, nasce a Torino da una famiglia di umili origini. Terminata la scuola media, diventa impiegata presso una piccola azienda. Di sera, tuttavia, essendo appassionata di lingue, inizia a studiarle dando la preferenza al russo.
Ma non disdegna nemmeno il proprio interesse per le diatribe sindacali e inizia ad occuparsi di alcune ingiustizie padronali. Ma ecco affiorare la sua passione giornalistica e, poco dopo aver fatto la conoscenza di Antonio Gramsci, inizia la collaborazione con il giornale da lui fondato, “Ordine Nuovo”.
Grazie alle sue conoscenze linguistiche, viene inviata a Mosca come delegata del partito comunista, lieta in tal modo di sfuggire alle prime persecuzioni fasciste. Al congresso del Comintern sarà a fianco dell’onorevole Umberto Terracini. Lei ascolta con interesse i responsabili del mondo sovietico, anche se sarà testimone con sorpresa delle purghe staliniane.
Decide in ogni caso di rientrare in Italia e iniziano per lei i duri momenti della clandestinità. Contemporaneamente attacca il PCI con severe critiche per la scarsità di ruoli assegnati alla donna. Ma ecco una nota personale decisamente rosa: si innamora di un giovane dalla carriera assai promettente, Velio Spano, futuro membro dell’assemblea costituente.
Purtroppo, la polizia politica per crimini contro il fascismo li scopre mentre stanno contestando con asprezza il comportamento del regime. Felicita viene condannata a sei anni di prigione e ne uscirà soltanto nel 1932.
Ammalata, debilitata, con un peso fisico abbondantemente sotto la media, riesce ad ottenere un permesso speciale per cure e ritorna in Unione Sovietica. Viene ricoverata in sanatorio, guarisce e si rimette al lavoro presso Radio Mosca. Ma viene allo stesso tempo colpita da una sanzione che riguarda l’emigrazione comunista italiana.
Condotta in carcere, viene accusata di essere stata l’amante di Michele Donati, ex personaggio di spicco della Scuola leninista, diventato un traditore. Lei nega con tutte le sue forze e verrà finalmente liberata solo attraverso uno scambio di “favori”.
Lei sarà obbligata a prestare servizio presso il “Commissariato del popolo per gli affari interni moscoviti”, cosa che la frustra enormemente. La giornalista racconterà tutto nel suo libro “Un nocciolo di verità” pubblicato nel 1978.
Tornerà in Italia dopo la fine della guerra e abbraccerà con gioia la sua Torino. Nel 1956, a seguito dell’invasione russa in Ungheria, decide di abbandonare il PCI. Lascerà per sempre il partito comunista. Da quel momento scriverà poco e si ritira anche socialmente da ogni attività. Ammalatasi agli inizi del 1984, muore nel febbraio dello stesso anno.