venerdì, Aprile 26, 2024
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IL BANCHIERE TOMMASO MARINO

di Carlo Radollovich

Tommaso Marino, che nella seconda metà del sedicesimo secolo era considerato tra gli uomini più facoltosi del suo tempo, giunse a Milano (da Genova) nel 1523 per sistemarsi presso il padre Luchino Marino, ricco ambasciatore e residente nella nostra città alla corte degli Sforza.

La persona, senz’altro abile negli affari, soprattutto fortunata, riuscì ad incrementare le proprie sostanze finanziarie grazie ad una sua astuta introduzione nel mondo degli appalti, aiutato dal fratello Giovanni. Una delle sue più intraprendenti conquiste fu quella di aver saputo accaparrarsi l’appalto dell’imposta sul sale in tutto l’ambito del Ducato milanese.

Nel giro di pochi anni riuscì ad accumulare una straordinaria quantità di denaro, tanto di essere in grado di concedere prestiti, tra gli altri, al governatore Ferrante Gonzaga e addirittura all’imperatore Carlo V, praticando interessi da usura che sfioravano il 20%.

Acquisì, nel 1558, il titolo di duca di Terranova e più tardi, alla tenera età di settantotto anni, si invaghì della giovane Arabella Cornaro e volle chiederla in sposa al padre, un noto patrizio veneziano. Quest’ultimo però si oppose al matrimonio poiché, per la figlia, desiderava che si sistemasse in una casa assai sontuosa.

Tommaso non si scoraggiò e al fine di poter impalmare la sua Arabella, acquistò un edificio cittadino, presso San Fedele, di cui era proprietaria la famiglia Castelnovate.

Ottenne l’esproprio di alcuni poveri stabili situati vicino all’edificio (contrada di San Giovanni alle Caserotte), li fece abbattere e affidò il tutto ad un architetto di spicco, quel Galeazzo Alessi che aveva già edificato, in Milano, le chiese di San Barnaba e di Santa Maria presso San Celso.

Ma la stella di Tommaso Marino cominciava a spegnersi. Infatti, una serie di speculazioni sbagliate, molti prestiti che non riuscì a farsi rimborsare, consistenti cifre di quattrini dissipati e parecchi debiti accumulatisi, segnarono il suo inevitabile declino.

Il celere decadimento culminò nel 1567, quando il suo amato palazzo venne espropriato. Solo una piccola parte dell’edificio venne affidata alla famiglia Marino. Ma l’inglorioso tramonto di Tommaso (e della sua famiglia) non era ancora giunto al termine: la moglie Ara si impiccò al baldacchino del suo letto due anni prima della sua morte (avvenuta nel 1572) e la figlia Virginia, sposa del nobile spagnolo Martino de Leyva, diede alla luce la ben nota Marianna, poi diventata Monaca di Monza con alle spalle tutta la sua triste storia.

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