di Carlo Radollovich
L’abile personaggio milanese, nato nella nostra città nel 1811, può essere considerato una valida pedina che ha contribuito a promuovere decisamente, nell’Ottocento, quella rivoluzione industriale che iniziava a decollare in diversi settori.
Molto difficile la sua infanzia. Il padre, operaio, muore quando compie cinque anni, mentre la madre passerà a miglior vita quando ne ha soltanto sette. Un parente lo accoglie nella sua casa di campagna, ma Ambrogio se ne stacca presto, stanco soprattutto di ricevere botte mentre effettua alcuni lavori nei campi. A soli otto anni decide di scappare per rifugiarsi nella sua Milano, con tutti i rischi che avrebbe potuto correre.
Ma la fortuna gli viene incontro e riesce a trovare lavoro, così piccolo, in una fabbrica di passamanerie. Trascorre anni di duri sacrifici, ma non si spaventa davanti a mille difficoltà e, quando compie diciotto anni, acquista un telaio per operare nello stesso campo, grazie ai risparmi messi da parte con scrupolo. Si mette in proprio, riesce a raggranellare un certo numero di clienti e vende con successo, grazie alle sue indiscutibili doti di caparbietà e di destrezza negli affari.
Si sposa a ventidue anni e la sua compagna gli confezionerà tre bellissimi figli. In quegli anni scatta in lui una fortunata molla. Infatti, si rende conto che l’industria dei bottoni, specialmente nel Milanese, langue decisamente, tanto che diversi compratori sono costretti a ricorrere a forniture provenienti dall’Inghilterra. Si chiede: perché non smettere di pensare agli articoli di passamaneria e introdursi nel mondo dei bottoni?
Da quel momento, attraverso complicate operazioni capitalistiche, riesce a mettere in piedi una piccola fabbrica che si ingrandirà presto. Grazie a consistenti incassi, nel giro di alcuni anni è in grado di erigere un edificio nel centralissimo corso di Porta Romana (1847). Ma, nello stesso anno, diversi disordini politici, poi sfociati nelle Cinque Giornate del ’48, mettono in crisi la ditta Ambrogio Binda.
Tuttavia, il nostro personaggio non si perde d’animo e, appena sopite certe pressioni amministrative da parte austriaca, acquisterà nel 1855, con notevole risparmio di capitali, una fabbrica di pettini in liquidazione. E Ambrogio diverrà presto star dei bottoni e signore dei pettini. Tutto finisce grandiosamente così? Assolutamente no.
Con il bernoccolo degli affari che si ritrova, osserva sul mercato un consistente aumento dei consumi di carta e si convince che la nascita di una cartiera in Milano rappresenterebbe una grossa opportunità. Ma occorrono due importanti fattori: maggiore disponibilità di fondi e, al tempo stesso, la presenza di una nutrita forza d’acqua. Nel giro di pochi mesi riesce a reperire i necessari capitali e per l’acqua si affida al Naviglio Pavese.
Con orgoglio, nel 1857, riesce ad inaugurare la sua prima cartiera a Conca Fallata, vicina alla ben nota chiusa, il cui salto d’acqua (cinque metri) funge da forza motrice per le macchine. E nel 1868 ecco nascere la seconda cartiera a Vaprio d’Adda, proprio accanto all’affluente del Po. Attorno alla fabbrica nasce una comunità con tanto di medico, farmacia, scuola e negozi.
Quando muore, nel 1874, i suoi collaboratori lo ricorderanno come uomo dal carattere gioviale e soprattutto buono, memori di quando asseriva che la beneficenza è ottima cosa, ma che i capi d’industria devono soprattutto battersi per prevenire la miseria dei propri dipendenti, assicurando se possibile un lavoro duraturo e condizioni accettabili di vita.