sabato, Luglio 27, 2024
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“Aderisco Perché”, una campagna per tornare a vivere

di Stefania Bortolotti

Il dono di un organo è un indicibile gesto di solidarietà, ma questo straordinario regalo richiede attenzione e cura da parte di chi lo riceve. Per “tornare davvero a vivere” dopo un trapianto e soprattutto avere una lunga prospettiva di vita, la chiave è l’aderenza alle terapie prescritte.

Gli studi evidenziano, infatti, che una scarsa aderenza alla terapia immunosoppressiva è una delle principali cause di non efficacia delle cure ed è associata ad un aumentato rischio di morbilità, mortalità e, nel caso di trapianto d’organo, al rischio di rigetto e perdita dell’organo. Aderire alla terapia è un patto d’alleanza con il proprio medico, ma soprattutto una sfida quotidiana con se stessi.
“Aderisco Perché”, patrocinata da AIDO – Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule, ANED – Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto, EpaC Onlus, SIN – Società Italiana di Nefrologia e SITO – Società Italiana di Trapianti d’Organo, e realizzata grazie al supporto di Astellas, è la prima campagna di sensibilizzazione sul valore dell’aderenza alle terapie rivolta ai pazienti trapiantati e alle loro famiglie.
Aderisco_perche-Rid2“Aderisco perché lo devo a chi mi vuole bene”, “Aderisco perché viaggiare è la mia passione”, e “Aderisco perché posso continuare ad essere me stesso”… sono solo alcune delle motivazioni che spingono ad assumere correttamente le terapie Marianna, Giuseppe, Marco, Francesco ed Eugenio, i cinque testimonial del libro “Aderisco Perché – Storie vissute per chi ha una storia ancora tutta da vivere”, ideato e pensato per aiutare i pazienti trapiantati a seguire con costanza e determinazione il percorso di cura. Uno strumento per condividere emotivamente esperienze di vita nel post-trapianto e per far emergere i motivi che spingono i pazienti con forza ad aderire. Il libro verrà distribuito dalle Associazioni promotrici della campagna, AIDO, ANED e EpaC Onlus, oltre che dalle Società Scientifiche, SIN e SITO, all’interno dei Centri di Trapianto e dei Reparti di Nefrologia.
«L’aderenza alle terapie è estremamente importante – afferma Franco Citterio, Presidente SITO, Società Italiana Trapianti d’Organo – questo perché i pazienti dopo il trapianto d’organo devono assumere i farmaci immunosoppressivi per evitare la reazione di rigetto e lo scopo di queste terapie è proprio quello di tenere depresso il sistema immunitario. A volte il migliore dei trattamenti perde efficacia a causa della mancata aderenza, che determina problemi a livello clinico, ma anche economico poiché genera spreco di risorse del sistema sanitario nazionale».
In Italia, nonostante l’aumento del numero di donatori d’organo, superiori del 25% rispetto alla media europea, l’aumento del numero di organi trapiantati, pari a 3.135 contro i 3.068 dell’anno precedente e la diminuzione significativa del tempo di attesa per un trapianto, rimane comunque di fondamentale importanza far comprendere ai pazienti e alle loro famiglie il valore della terapia post trapianto e della corretta e regolare assunzione per ottenere il successo clinico.
«La perdita dell’organo trapiantato, dovuta alla non aderenza alla terapia immunosoppressiva, è un dato che la letteratura più recente ha evidenziato ed esiste il rischio concreto che i pazienti manipolino le terapie fino ad arrivare a sospenderle – osserva Valentina Paris, Presidente ANED, Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto Onlus – gli ostacoli sono due: da una parte la cronicità e la ripetitività della terapia che deve essere assunta per tutta la vita comporta una stanchezza quasi fisiologica, dall’altra il fatto che se succede una tantum di dimenticare la pasticca sembra in apparenza che non succeda niente all’organo o quanto meno dai controlli del sangue le conseguenze non sono immediatamente rilevate. Tutto questo induce il paziente a pensare che “forse i farmaci non servono più”. Da qui la necessità di coinvolgere emotivamente i pazienti anche attraverso iniziative come la campagna “Aderisco Perché”».
Molteplici sono le cause alla base della non aderenza terapeutica (socio-economiche, personali, ambientali), in parte da ascriversi al paziente che spesso ha una scarsa consapevolezza e percezione della propria malattia, in parte da attribuire agli operatori sanitari che a volte non forniscono gli strumenti idonei ai pazienti affinché questi ultimi siano messi in grado di attuare un self care corretto e convinto.
«Il medico ha un’arma molto semplice e diretta per far capire al paziente trapiantato l’importanza di aderire alla terapia immunosoppressiva – spiega Antonio Santoro, Presidente SIN, Società Italiana di Nefrologia – in primo luogo ricordargli la dialisi e che la non aderenza significa rigetto e ritorno ai trattamenti dialitici; in secondo luogo, far leva sul fatto che avere ricevuto in dono un organo è stato un colpo di fortuna enorme e che questo dono va preservato in tutti i modi, specie se è arrivato da un vivente che ha messo a rischio la sua stessa salute per aiutarlo a rivivere. Il dialogo, posto in questi termini, è molto importante, deve farlo il medico oppure uno psicologo del Centro trapiantologico».
Accanto alla giusta informazione, la semplificazione dello schema terapeutico è fondamentale. Sono recentemente state sviluppate nuove formulazioni che permettono la monosomministrazione giornaliera, questo non solo semplifica la terapia ma aumenta la motivazione perché riduce la possibilità di errore e potenzia la fiducia del paziente. La semplificazione terapeutica, la condivisione delle esperienze e un patto di mutua fiducia medico-paziente rappresentano stimoli decisivi per non compromettere gli esiti clinici del trapianto e le prospettive di vita.
«Credo, e non sono il solo a pensarlo, – dice Ivan Gardini, Presidente EPAC Onlus – nella necessità di un counselling, verificato e valutato da operatori sanitari esperti durante i controlli che il paziente effettua periodicamente».
La donazione di organi, post-mortem e da vivente, è un gesto volontario di enorme solidarietà. È come restituire la vita a qualcun’altro. L’Italia a livello europeo si colloca al secondo posto, dopo la Spagna, per numero di donatori d’organo, ma è importante continuare l’opera di sensibilizzazione e informazione sul tema della donazione tra l’opinione pubblica, i pazienti in lista d’attesa e le loro famiglie.
«L’informazione – sottolinea Vincenzo Passarelli, Presidente AIDO, Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule – riveste un ruolo importante perché serve a superare paure e pregiudizi che di solito, accompagnandosi a sfiducia e timori di diverso ordine, creano diffidenza verso la donazione. È necessario stimolare la discussione su questo tema tanto importante e lavorare su quelle persone che non sono di per sé contrarie ma nemmeno sufficientemente informate e, quindi, decise».

epacIntervista a: Ivan Gardini
Presidente EpaC Onlus

Il percorso di cura pre e post-trapianto passa attraverso il dialogo con il medico

Dottore, qual è l’impatto sociale della non aderenza alla terapia immunosoppressiva e sulla qualità di vita del paziente trapiantato d’organo?

L’impatto sociale della non aderenza terapeutica può essere devastante per diversi motivi, tra i quali il più rilevante è che non aderire alle terapie può portare nel tempo alla necessità di un ritrapianto con conseguente compromissione delle condizioni generali di salute e scadimento della qualità di vita del paziente, che subito dopo il trapianto sta bene, torna a vivere. Altro problema è rappresentato dall’aumento dei costi derivante dalla non aderenza, spesso personali, ma soprattutto costi molto elevati a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Bisogna, infine, considerare un fatto non di poco conto: vale a dire, la necessità di utilizzare un altro organo per un paziente in precedenza trapiantato toglie un’opportunità di vita a un’altra persona che è in lista d’attesa.

Quali sono i motivi o gli ostacoli che portano il paziente trapiantato a rinunciare, a non aderire alle terapie?

Le terapie immunosoppressive durano per tutta la vita, sono una vera sfida per il paziente e per il medico poiché l’aderenza alle prescrizioni farmacologiche può essere influenzata da diverse variabili socio-economiche, riguardanti il paziente, correlate alla malattia e persino all’ambiente. In pratica tutto ciò che accade esternamente può incidere sulla capacità del paziente ad aderire. Pensiamo a difficoltà in ambito familiare (un divorzio, un lutto, la perdita del lavoro), alla non accettazione della malattia che comporta un’irregolarità nell’assumere la terapia, alla paura e all’ansia per i potenziali effetti collaterali, ai fallimenti terapeutici precedenti che portano il paziente ad essere demotivato e sfiduciato, fino alla scarsa comunicazione medico-paziente. A questo proposito, è noto che tutto il percorso di cura pre e post-trapianto, inclusa la terapia immunosoppressiva, passa attraverso il dialogo con gli operatori sanitari, e in tal senso sarebbe auspicabile che i medici possano essere affiancati anche da personale esperto in ambito psicosociale.

Aderenza alle terapie immunosoppressive significa “tornare e continuare a vivere”, mantenere la propria quotidianità, vivere più a lungo. I pazienti hanno questa consapevolezza?

Direi che i pazienti sono consapevoli fino a un certo punto, quando arriva il momento del trapianto magari atteso per anni, non a tutti è chiaro cosa significhi prendere una terapia immunosoppressiva per tutta la vita. Credo, e non sono il solo a pensarlo, nella necessità di un counselling, verificato e valutato da operatori sanitari esperti in ambito comportamentale durante i controlli che il paziente effettua periodicamente. Come ho detto prima, la vita stessa con i suoi avvenimenti influenza fortemente l’aderenza alle terapie, assumere farmaci tutti i giorni, alla stessa ora per sempre non è affatto facile. Un remind di verifica (“prende il farmaco?”, “come lo assume?”, “quando?”, “tutti i giorni?”) è fondamentale perché intercetta segnali di mancata aderenza ed eventuali disagi sottostanti.

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