di Ugo Perugini
Dal 3 febbraio al 5 giugno Palazzo Reale ospita la Mostra sul Simbolismo, movimento artistico che può essere collocato tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e il periodo antecedente la Grande Guerra. Le opere presenti sono 133 per oltre 50 artisti.
Molte opere arrivano da importanti musei tra cui Ca’ Pesaro, Galleria degli Uffizi, Musée d’Orsay, Musei Reali del Belgio. Alcuni quadri sono visibili per la prima volta nel nostro Paese. In totale il percorso prevede 24 stanze per 21 sezioni. L’evento ha avuto come principali sponsor il Gruppo Sole 24 Ore e Arthemisia.
Il Simbolismo è la reazione alla cultura positivista e materialista e cerca di guardare al di là della realtà fisica e indagare i misteri della natura, ricercando dietro i simboli significati altri da scoprire. Dal punto di vista artistico rappresenta il rifiuto dell’accademismo, ma anche dell’impressionismo, che considera apparenza, superficialità, con un ritorno al mito, alla leggenda, alla figuratività. Sono anche gli anni di Nietzsche e di Freud, e la ricerca simbolista ne capta lo spirito e si orienta verso i lati più oscuri dell’animo umano, appunto la morte, l’erotismo, l’inconscio, il mistero.
Naturalmente il Simbolismo non è uno stile di per sé ma un movimento composto da un insieme di stili diversi, che rendono difficile stabilire una sua linea univoca. Anche a seconda delle aree geografiche assume connotati e caratteristiche diverse. Nella mostra si tralascia, ad esempio, il Simbolismo dell’America del Nord e dell’America Latina, per restare entro i confini europei.
Il curatore, Fernando Mazzocca, individua un Simbolismo belga, debitore dell’influsso di Baudelaire, che è una somma di negazioni, come sostiene il critico Michel Draguet: “del processo scientifico, dell’immanenza del reale, di una ragione industriale ancorata al principio di quantità” e si spinge a cogliere le pulsioni anche più nascoste della psiche umana . I pittori diventano personaggi eccentrici e maledetti e le loro opere turbano come (Carezze), la famosa donna/ghepardo di Fernand Khnopf, l’icona della mostra, e la testa di Orfeo galleggiante di Jean Delville, l’occhio folle di Odilon Redon.
Il Simbolismo di matrice nordica ha un diverso taglio in quanto risente di più dell’influsso di Nietzsche (la morte di Dio) e del pessimismo di Schopenhauer (la volontà come vettore di un dolore esistenziale) e si utilizzano linguaggi diversi compresa la musica (ricordiamo Wagner) per affrontare il tema in maniera più totalizzante, sperimentando tutte le tecniche espressive e tutti i materiali a disposizione. Qualche esempio: le opere di Bocklin (il silenzio della foresta, l’isola dei morti) con il ritorno ai miti, Ferdinand Hodler (l’Eletto), il guanto di Klinger.
Ma esiste anche un Simbolismo italiano che si deve alla creatività di Gabriele D’Annunzio che riuscì a fondere le due anime del movimento, quella romana (Sartorio, De Maria, De Carolis, ecc.) e quella milanese di Segantini e Previati, che trovarono nelle Biennali di Venezia, soprattutto quella del 1907 e le successive del 1909/1910, ampia adesione e portarono, tra l’altro, alla riscoperta di Botticelli e della sua Primavera (Galileo Chini). Dando spazio anche ad artisti meno conosciuti come Alberto Martini, che sonda gli abissi dell’eros, dove la donna viene rappresentata sempre in equilibrio tra dannazione e salvazione. La mostra si conclude poi con un finale onirico, immaginario di taglio orientale che ripesca atmosfere, cariche di ori, dalle storie delle “Mille e una notte” di Vittorio Zecchin.
La mostra del Simbolismo è affascinante. Occorre dirlo. Vale la pena visitarla con calma e senza pregiudizi. Gli artisti che fanno capo a questo movimento affrontano temi delicati e un po’ inquietanti come l’amore, la morte, il sogno, l’angelo che facilmente finiscono per arrivare agli eccessi e diventare erotismo, senso del macabro, incubo, demone.
C’è qualcosa di sulfureo, diabolico, alterato che percorre alcune delle opere esposte nelle sale, che favorisce l’immersione nel clima particolare di un’epoca, dove tra disinibizione e abuso di droghe, la realtà si sfalda in delirio e follia, quasi un preludio al delirio ancora più folle e insensato della Grande Guerra.