di Ugo Perugini
Il tema è delicato. Ci piacerebbe affrontarlo in modo obiettivo, evitando posizioni preconcette o ideologiche. Cosa non facile per la complessità del tema. E’ recente la presa di posizione della Fondazione Veronesi che, attraverso un Comitato etico predisposto a questo scopo, sostiene come la soluzione sia moralmente accettabile e necessaria, anche considerando il problema della infertilità maschile e femminile.
In altri termini, si dice che la donazione dell’utero “per solidarietà va sempre ammessa, subordinandola unicamente all’accertamento dei legami affettivi o sociali tra gestante e i genitori committenti”. Secondo la Fondazione, c’è bisogno di urgenti norme specifiche che regolino la materia dell’utero in affitto che, come noto, è attualmente vietato dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita.
Il timore, però, è che la donazione del grembo materno sia vista come una mercificazione mentre dovrebbe essere trattata alla stessa stregua delle donazioni di altri organi o del sangue. Altra affermazione piuttosto inquietante di un esponente della Commissione è che una donna potrebbe essere costretta ad affittare una parte del suo corpo per necessità economiche, ma la cosa comunque sarebbe in ogni caso “meglio della prostituzione” (sic), visto che si tratterebbe di uno sfruttamento sì, ma consapevole. Da qui lo stesso Veronesi arriva alla conclusione che la maternità surrogata potrebbe essere ammessa anche per le coppie gay. Ma questo è un altro discorso…
Non tutti sono d’accordo con queste posizioni. Recentemente anche al Parlamento di Strasburgo la maggioranza ha votato il principio secondo il quale la pratica della maternità surrogata “mina la dignità umana della donna, per il fatto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive vengono utilizzate come una merce”. “La pratica della maternità surrogata” inoltre, “dovrebbe essere per questo, vietata e trattata come una questione urgente dagli strumenti per i diritti umani”. E naturalmente gli attivisti a favore della vita e della famiglia, parlano di “vittoria di chi difende la dignità della donna, la non commerciabilità della maternità, i diritti del bambino”.
Anche a sinistra, però, i dubbi continuano ad esistere. Per troppo tempo ha prevalso una mentalità per cui tutto può essere venduto o comprato e oggi anche la maternità viene trattata alla stregua di una merce. La maternità però non è un utero che si noleggia, dietro c’è un rapporto importante tra madre e figlio che si instaura fin dal primo momento e che va salvaguardato. Né sarebbe valida la prospettiva di trattare la maternità surrogata come un dono perché anche questo atteggiamento non avrebbe senso.
Certe femministe, non tutte, sostengono, invece, che la questione riguarda esclusivamente la libertà di una donna di decidere di portare avanti la gravidanza per qualcun altro. E definire questa scelta come necessariamente un abuso, una violazione, una forma di schiavitù è un errore grossolano. Passare da “io non lo farei” a “nessuno dovrebbe farlo” non è un ottimo argomento. E se quella donna non è solo un corpo, sarà pure un cervello con la possibilità di decidere cosa fare del proprio corpo senza che nessuno si permetta di dare consigli non richiesti. E la domanda che si pongono alcune femministe è: “Se io decidessi di portare avanti una gravidanza per qualcun altro, sarei abusata, povera, sfruttata e da difendere anche se non voglio essere difesa perché non c’è niente da cui difendermi?”.
In queste posizioni, ci sembra emerga abbastanza evidente un discorso ideologico e cioè che il potere di procreazione è della donna e deve essere difeso ad ogni costo. Sembra però sfuggire che la procreazione è o dovrebbe essere soprattutto un atto d’amore. Il potere che le donne giustamente rivendicano, forse, non dovrebbe trovare altri spazi e altri argomenti per arrivare a una reale uguaglianza?