giovedì, Dicembre 19, 2024
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QUANDO MILANO FU OLTRAGGIATA

di Carlo Radollovich

La frase “rasa al suolo”, che spesso si incontra leggendo la cronaca di storie crudeli svoltesi nella nostra città, al centro di spiacevoli coinvolgimenti, rappresenta sicuramente un’esagerazione.

Infatti, troppo spesso, anche in occasione di combattimenti di portata abbastanza circoscritta, si parlò a sproposito, nell’età antica, di “efferate lotte distruttive”. Si pensi che i dominatori longobardi, calati in Italia nel 568 e guidati da Alboino, trascurarono addirittura Milano, evitandola, per nominare Pavia come capitale.

Ma ovviamente non vanno dimenticate certe amarissime situazioni che i milanesi dovettero sopportare, a cominciare da Attila che nel 432 conquistò la città e che si insediò nel palazzo reale dopo aver provocato numerosi lutti.

Tragiche anche le gesta del condottiero Uraia, nipote del re goto Vitige, il quale, con un esercito di circa diecimila uomini, assediò Milano nel 539. Arresasi per fame, la città dovette subire l’uccisione di migliaia di persone di sesso maschile.

E anche il Barbarossa, il quale, trasformando un atto della cosiddetta “giustizia imperiale” in una vendetta aberrante, distrusse Milano nel 1162 radendola, in effetti, al suolo.

E che dire dei dominatori spagnoli ? Essi non rasero nulla al suolo, però abbassarono l’altezza di molti edifici affinché la mole del Castello, in cui essi spadroneggiavano, spiccasse vistosamente sulla città. E sarebbe stata pure mozzata la bellissima cupola costruita dal Bramante per coronare la chiesa di Santa Maria delle Grazie, se un frate domenicano, travestitosi da angelo (così recita una vecchia leggenda), non si fosse arrampicato al calar della notte sulla parte più alta della cupola stessa, brandendo una spada fiammeggiante. Gli assalitori, presi dal panico, desistettero dal proposito vandalico.

Va comunque sottolineato che lo spirito dei nostri avi milanesi non venne mai meno. Anche se umiliati, sconfitti e con le case distrutte, seppero riedificare e ricostruire non appena possibile, con ammirevole senso di ostinazione e soprattutto di orgoglio.

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