Molti lo ricordano ancora perché fu il primo vero processo mediatico della storia televisiva italiana. Una catena di omicidi di coppie, che cercavano un po’ di intimità appartandosi, nelle loro auto, in zone isolate attorno alle colline fiorentine.
Il mistero delle condanne
A partire dall’agosto 1968 e fino al 1985, 16 vittime, per lo più giovani, per uno dei cold case più confusi e incredibili della storia criminale italiana che, al di là delle sentenze definitive che portarono alla condanna dei cosiddetti “compagni di merende”, Pacciani, Vanni, Lotti, lascia ancora moltissimi spazi di dubbio e mistero.
I giornali cominciarono a parlare di un “serial killer”, maniaco, assassino, fino a definire “mostro” chi si era macchiato di questi tremendi crimini. Capace anche di deturpare il corpo di una donna, addirittura portando via parti intime come il seno o il pube. All’epoca si parlò di un dottore che aveva commissionato i delitti per poter acquistare i feticci. Ma anche questa ipotesi, come tante altre, non ebbe seguito. Oggi, tutti, o quasi, danno per scontata l’innocenza dei tre condannati, persone ignoranti e dedite al vino, incapaci di commettere tali mostruosità, e si sono aperte nuove teorie.
Bugie, omissioni, depistaggi
L’autore dei delitti, anche secondo il parere di importanti criminologi, non poteva che essere una persona non comune, con ostentati aspetti di onnipotenza, compromessi da gravi patologie. Un uccisore seriale, mosso da problemi inconsci e profondi, anche irrisolti dal punto di vista sessuale, che lo costringevano a impiegare sistemi crudeli di manipolazione, strumentalizzazione e deumanizzazione delle vittime in una dimensione perversa di assoluto disimpegno morale.
Come succede anche nei delitti più recenti, come il caso di Garlasco, più si indaga più risultano incomprensibili certi procedimenti accusatori degli inquirenti ed emergono omissioni, inquinamenti, frodi processuali, fantasie ai quali viene dato un peso eccessivo e nuovi indizi che contribuiscono ad allontanare la verità piuttosto che avvicinarla.
Ci si chiede, allora, perché questo è potuto accadere anche per il caso del “mostro di Firenze”? Per i soliti motivi che emergono quando certi episodi coinvolgono, spesso in modo morboso, l’opinione pubblica: ragioni di potere, di immagine, senza tralasciare il conflitto sempre presente tra i vari pezzi dello Stato, cioè polizia, carabinieri, procure, giudici, politici.
Gli autori e qualche speranza di scoprire la verità

Pino Rinaldi, giornalista della Rai e de La 7, ha rievocato questa macabra storia, attraverso un enorme lavoro di documentazione, insieme al Maggiore dei Carabinieri in pensione Nunziato Torrisi che all’epoca indagò sui delitti del “mostro di Firenze”. Ne è scaturito un libro che si legge d’un fiato grazie a una scrittura precisa e circostanziata che fa rivivere le situazioni, i drammi e le aberranti immagini di delitti efferati.
Non è possibile, naturalmente, parlare di soluzione di un mistero che ha ancora moltissimi aspetti inspiegabili. E, dato il trascorrere del tempo, difficili da dirimere. Nel libro, però, si avanzano ipotesi che possono fornire un quadro diverso e una luce nuova su questo terribile mistero, riportando all’attenzione la cosiddetta “pista sarda”, che per qualche motivo non è stata seguita come si sarebbe dovuto.
Pino Rinaldi- Nunziato Torrisi – Il Mostro di Firenze – La verità nascosta- Mursia – 17,00 euro