di Carlo Radollovich
Sono le 16,30 del 25 aprile 1859 e il teatro Fossati, la cui costruzione si affacciava verso il vecchio mercato di piazza Castello, sta per essere inaugurato con il dramma di Paolo Giacometti “La colpa vendica la colpa”, recitato dalla compagnia di Alessandro Salvini, fratello del più celebre Tommaso.
Una viva emozione serpeggia tra il pubblico, ma anche gli stessi attori – come alcuni di loro confideranno a un cronista – sembrano attanagliati da un’insolita, speciale trepidazione.
Tale inquietudine sparisce completamente quando le luci della ribalta si accendono.
Un suonatore di contrabbasso, che fa parte dell’orchestrina incaricata di aprire lo spettacolo, ha una certa somiglianza con il più noto degli statisti piemontesi e dal loggione viene subito chiamato con il nome di Cavour. Gli gridano: “Dai Cavour, tocca ti a sonà, fa vedè el to repertori!”
In platea spicca la presenza dell’industriale Carlo Fossati, colui che volle fermamente la realizzazione di questa sala teatrale, il cui progetto era stato affidato all’architetto Fermo Zuccari, autore dello splendido palazzo cremonese che porta ancora oggi il suo nome (Zuccari-Casati).
Fossati guarda verso il palcoscenico, ma in cuor suo pensa al teatro che sta per nascere, architettonicamente elegante, concepito per una Milano moderna, con apprezzate decorazioni in terracotta, tre gallerie disposte ad anfiteatro, senza soffitto (solo un telone, come si usava per i “diurni”, telone che verrà più avanti sostituito da un lucernario) e con i parapetti delle logge ornati da nastri a fiori. I prezzi d’ingresso sono già noti da qualche settimana: 5 lire per l’abbonamento che prevede 24 recite, 75 cent. per l’ingresso alla prima galleria, 50 per la seconda, 30 per la terza (loggione) e 50 per la platea.
Il successo del dramma di Giacometti viene sottolineato da scroscianti applausi sin dalla fine del primo atto. Dopo l’inaugurazione, compare in scena la maschera di Meneghino, impersonato da attori di fama come il Caironi, il Monti e il Preda, mentre più avanti fa la comparsa la prima Compagnia Milanese, diretta da quel Giovanni Talamoni che faceva letteralmente sbellicare dalle risa tutti i presenti.
Ma ecco il pezzo forte che saprà attrarre una miriade di spettatori: il ben noto Edoardo Ferravilla che recita assieme all’attrice Ivon, non solo bellissima, ma dotata di grande sensibilità artistica.
E una lunga schiera di bei nomi contribuiscono a dare altrettanto lustro al Fossati. Citiamo tra gli altri Giraud, Smussi, Bazzaro, Cima, la Giacobini, la Oldani, la Giovanelli, per poi passare alla Malinverni e alla grandissima Dina Galli.
Un prolifico autore che riesce ad introdursi più che bene al Fossati è Mauceri Bonanno, che vede replicare per centinaia di volte la rappresentazione di due suoi capolavori: “Robinson Crusoé” e “Giacomo l’onorato”.
Pervengono critiche al Fossati quando alcune compagnie recitano “La mandragora”, “Candelaio” e “Calandra”. Infatti, alcuni giornali milanesi scrivono che “nel teatro popolare si è infiltrata la pornografia”. Un deputato, Ruggero Bonghi, arriva persino a chiedere la censura teatrale per Milano e Roma…
Nel 1904 il teatro viene appaltato dalla società Suvini-Zerboni che lo abbellisce, sopprimendo il loggione. Trionfano le riviste e molte operette. Queste proseguono per molto tempo, interrotte soltanto da rappresentazioni di prosa dialettale, e qui si cimentano compositori del calibro di Mascagni, Leoncavallo, Giordano e Franchetti. Alla fine del primo conflitto mondiale, il Fossati gradualmente si spegne (le ultime locandine compariranno sino alla fine del 1925, non oltre) lasciando spazio al cinematografo che “distrugge” ogni vestigia di teatro.
Solo nel 1982, Giorgio Strehler recupererà la sala effettuando lavori di restauro, curati dall’architetto Marco Zanuso, costati 10 miliardi di lire circa. Terminate le opere di ripristino (1986), il Fossati si presenta vuoto all’interno (si notano soltanto alcune sedie sparse per la sala) e diventa “Teatro studio”, specifico laboratorio destinato alla recitazione.