di Carlo Radollovich
Già assai noto nel mondo della musica come eccellente violinista, al genio Toscanini venne affidata nel 1886, a soli 19 anni, la direzione del Teatro Carignano di Torino. I suoi contatti con gli orchestrali erano tutto sommato soddisfacenti e ci si chiese come mai, nel 1888, accolse la richiesta di trasferimento presso la Scala di Milano.
Probabilmente, furono decisivi la consistente offerta economica e gli alti poteri conferitigli come direttore d’orchestra. Sin dall’inizio, tutti ebbero timore di lui, cantanti compresi. Ma esigeva che anche gli spettatori dovessero comportarsi correttamente.
Anzitutto imponeva l’ingresso a teatro con la massima puntualità, abolì le mezzeluci in sala per evitare possibili conversazioni durante le varie esecuzioni e fece intendere che anche le arie poco orecchiabili dovevano essere ascoltate senza distrazioni potenzialmente disturbanti verso le persone vicine.
Dichiarava guerra alle signore che portavano alti cappellini, a scapito degli spettatori che si trovavano in posizione retrostante. Infine fece abolire, drasticamente, i richiestissimi “bis”, talvolta molto richiesti dal pubblico. Perché? Secondo lui, alteravano la corretta esecuzione delle opere, creando disordine.
Ci si chiedeva come il procedere quasi dittatoriale di Toscanini potesse essere accettato da tutti sotto ogni profilo o quasi. Non proprio da tutti, per la verità. L’editore Ricordi, ad esempio, attraversava con lui momenti di accentuata frizione.
Quando, nel 1903, Toscanini bloccò l’andata in scena di un’opera (la “Norma”) perché la cantante Ines del Frate non lo convinceva affatto, l’editore si ribellò, seppure con garbo, pregandolo di affidare l’opera al suo sostituto, il direttore d’orchestra Pietro Sormani.
La risposta del grande Arturo fu secca: non avrebbe mai consentito che un’altra bacchetta potesse dirigere uno spettacolo di cui non era convinto a livello canoro. E si tenne l’esecuzione dell’opera, suo malgrado.
Ma il rigido carattere di Toscanini si manifestò anche nei riguardi di una applaudita stella del momento: Enrico Caruso. Su certe sottigliezze canore, probabilmente fatte rimarcare con esagerata metodicità, il famoso tenore ne ebbe abbastanza e fu sul punto di rinunciare a cantare, volendo addirittura restituire il consistente anticipo ricevuto.
Alla fine fu convinto a restare a seguito delle mille preghiere dell’impresario, ma egli non smise di lamentarsi per le numerose difficoltà d’interpretazione a cui era stato sottoposto.
Si arrivò, tra una tensione e l’altra, all’aprile del 1903, durante l’esibizione di “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi. Gli spettatori, estasiati dalla musica, chiesero più volte il “bis” di una nota aria. Ma Toscanini si indispettì a tal punto da deporre la bacchetta, abbandonando il teatro e lasciando gli spettatori con un palmo di naso. Si dimise pure dalla Scala, trasferendosi poco dopo a Buenos Aires.