venerdì, Novembre 22, 2024
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Cosa vogliono le pazienti dall’ospedale

di Stefania Bortolotti

ll tumore ovarico è la più grave e complessa neoplasia ginecologica che interessa 50 mila donne italiane e che registra 5.200 nuove diagnosi/anno con una sopravvivenza a 5 anni solo del 40% negli stadi avanzati. Proprio per la sua complessità il tumore ovarico dovrebbe essere curato solo in ospedali attrezzati per affrontare la malattia da tutti i punti di vista (diagnostico, chirurgico, terapeutico, infermieristico e psicologico-assistenziale) e capaci di rispondere a tutte le esigenze delle pazienti e dei loro familiari. Ma le cose stanno davvero così? Cosa pensano le pazienti degli ospedali in cui sono state curate? Come li valutano? “Per saperlo abbiamo lanciato su Facebook la campagna #lospedalechevorrei – racconta Nicoletta Cerana, presidente di Acto, la rete nazionale di associazioni pazienti impegnata dal 2010 nella lotta contro questa neoplasia – “Con poche e semplici domande, abbiamo indagato il  vissuto delle pazienti  in ospedale durante l’intero percorso di cura, dalla diagnosi alla terapia fino al periodo di follow up. Non è stato un sondaggio, ma piuttosto un colloquio guidato per capire come rendere “l’ospedale più ospitale”.

La campagna è stata seguita da oltre 90 mila persone e 150 donne hanno compilato il questionario fornendo  le valutazioni e i suggerimenti che sono stati  presentati al Senato nei giorni scorsi nel corso di un incontro cui hanno preso parte Istituzioni, esponenti della comunità medico-scientifica e del mondo advocacy. La grande maggioranza (70-80%) delle donne si è dichiarata soddisfatta delle cure ricevute e ha giudicato positivamente la propria esperienza in ospedale: “… sono stata accolta come in una grande famiglia, seguita amorevolmente da tutta l’équipe che ringrazio di tutto cuore”, “… grande umanità, delicatezza e comprensione da parte di tutti coloro che mi hanno seguita”.Da queste esperienze – commenta Silvia Gregory, referente di Acto Roma, parlando a nome  delle pazienti – si capisce che la professionalità è alta a conferma dell’eccellenza oncologica del nostro Paese, ma emerge anche la richiesta ai professionisti sanitari di una  maggiore umanità e attenzione ai bisogni psicologici”.

Infatti una donna su tre ha dichiarato di sentirsi molto sola al momento della diagnosi e due donne su cinque hanno dichiarato di non aver ricevuto consigli su come tornare, dopo le cure, alla vita di tutti  i giorni. Una ripresa molto faticosa, soprattutto quando non si è più come prima. Dunque dalla campagna Acto emerge che c’è ancora tanto da fare soprattutto nell’area del supporto psicologico e dell’assistenza nel  post cura. “… Vorrei che i medici ti ascoltassero, capissero il dolore che hai.” “… finché ero in un programma di ricerca tutto era perfetto ma, con la recidiva, fuori dal programma sei completamente abbandonata”, “…ci sono stati alcuni episodi nei quali mi sono sentita poco seguita” o, ancora, “… non sempre sono stata accompagnata in modo adeguato” – hanno commentato alcune partecipanti al sondaggio. “Rimane molto da fare per quel 20% di pazienti che non vede i propri bisogni soddisfatti” ribadisce Domenica Lorusso del Dipartimento di Ginecologia Oncologica, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS  – “e probabilmente questo può essere fatto implementando l’organizzazione e includendo altre figure professionali nel percorso di cura come psicooncologi e case manager”. Le pazienti devono sentirsi al centro dell’attenzione – conferma l’Onorevole Rossana Boldi, Vicepresidente della XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati – “In primo luogo come persone, non solo come malate, perché la condizione psicologica delle pazienti è importante quanto la terapia”.

La campagna Acto, realizzata con il supporto incondizionato di Clovis Oncology, azienda biofarmaceutica interamente impegnata nella ricerca di soluzioni terapeutiche contro il cancro con terapie target e medicina di precisione, è un ulteriore passo avanti nel percorso di ascolto delle pazienti che Acto sta compiendo dal 2010 per poter comprendere a fondo i reali bisogni delle donne malate e rispondere con iniziative concrete. Per questo, dal mondo digitale la campagna si sposterà nel mondo reale, per portare le esperienze delle pazienti nei centri specializzati di tutta Italia e discutere insieme ai medici e alle Istituzioni come colmare i bisogni insoddisfatti e rendere così l’ospedale davvero “più ospitale”. “L’ambiente ospedaliero è il risultato di diversi fattori: organizzazione efficiente, preparazione del personale medico e paramedico, attrezzature moderne ma anche atteggiamenti umani” – conclude la Senatrice Maria Rizzotti, Componente della XII Commissione permanente Igiene e Sanità del Senato della Repubblica – “La politica deve dare certamente il proprio contributo favorendo il consolidarsi di condizioni migliori negli ambiti ospedalieri, incoraggiando iniziative, regolamenti, corsi di formazione, sistemi di auditing e altro ancora che consentano di misurare – per quanto possibile – la qualità della risposta sanitaria offerta, considerata nel suo insieme e non solo dalla prospettiva delle sole terapie”.

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