sabato, Luglio 27, 2024
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Vivere con le MICI: un percorso a ostacoli tra diagnosi, ricoveri

di Stefania Bortolotti

Intervista a: Salvo Leone, direttore AMICI onlus

Dottore, le MICI sono patologie che insorgono nella maggioranza dei casi in giovanissima età e, in quanto malattie croniche, condizionano in prospettiva tutta l’esistenza: quale è l’impatto della diagnosi per un paziente sia da un punto di vista relazionale che sociale/lavorativo?

Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa influenzano in modo importante la qualità di vita. La cronicità della malattia, le riaccensioni, le ospedalizzazioni, gli eventuali interventi chirurgici sono fattori che peggiorano la qualità di vita per i malati di MICI non solo nei momenti di attività di malattia ma anche durante la fase di remissione. A soffrire di MICI sono indifferentemente uomini e donne, per lo più tra i 20 ed i 40 anni di età, in piena attività lavorativa e con un elevato bisogno di cure e interventi sanitari. Queste malattie sono caratterizzate dall’alternanza di fasi di remissione completa a fasi di attività durante le quali la qualità di vita dei pazienti è fortemente compromessa, così come la loro capacità lavorativa e le relazioni sociali. È ampiamente dimostrata infatti l’influenza negativa di tali patologie non solo sulla salute dei singoli pazienti ma anche sull’intero tessuto sociale, chiamato a sopportare costi sempre maggiori, sia diretti che indiretti, per la loro cura. I malati vivono nella consapevolezza che la loro malattia c’è sempre, e che potrà manifestarsi in modo molto grave tanto da poter richiedere un ricovero o un intervento chirurgico e sono consapevoli che l’infiammazione dell’intestino li espone a un rischio maggiore rispetto alla popolazione sana di sviluppare un tumore. Inoltre, le persone con Malattia di Crohn o Colite Ulcerosa sono maggiormente inclini alla depressione e all’isolamento, e l’aspetto psicologico non è secondario per il decorso della malattia.

Le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino mettono a dura prova la vita lavorativa e i rapporti sociali di chi ne soffre come emerge anche dallo studio IMPACT, realizzato da EFCCA (European Federation Crohn and Colitis Associations). La ricerca evidenzia numerose difficoltà. Nel nostro Paese, il 71% dei pazienti ha dovuto assentarsi dal lavoro e il 19% lo ha dovuto fare per più di 25 giorni in un anno a causa di ricadute, visite mediche o ricoveri ospedalieri. Quasi il 40% ha dovuto apportare cambiamenti nella vita lavorativa e il 51% afferma che la malattia ha influenzato negativamente le proprie prospettive di carriera. Inoltre, questa patologia è stata la causa diretta della fine di un rapporto affettivo nel 20% dei casi.

Dopo l’avvento delle terapia biologiche, il clima intorno alle MICI sta cambiando: oggi queste patologie, se adeguatamente trattate, non rappresentano più un ostacolo insormontabile a una buona qualità di vita: come si riflette tutto questo rispetto alla percezione che i pazienti hanno della propria condizione?

La disponibilità di alcuni nuovi farmaci rappresenta indubbiamente una speranza per migliaia di pazienti. Le terapie biologiche hanno costituito un punto di svolta importante nella gestione di queste patologie. Le prescrizioni di farmaci biologici nelle MICI o IBD (Inflammatory Bowel Disease) rappresentano il 14% delle prescrizioni totali; la maggior parte delle prescrizioni riguarda patologie Reumatologiche e Dermatologiche. Si tratta di terapie molto costose, ma che permettono, sicuramente nel breve termine, la remissione e di conseguenza una buona qualità della vita correlata alla salute (Health Related Quality of Life – HRQoL). I trattamenti con i farmaci biologici in gastroenterologia dovrebbero, a nostro avviso, essere resi sempre disponibili quando indicati. Non ci si dovrebbe limitare al semplice costo delle terapie quando si trattano patologie di questo tipo: sarebbe piuttosto necessario valutare globalmente il percorso terapeutico del paziente. Se il costo di una terapia è elevato, ma permette di controllare meglio la patologia, il Sistema beneficerà di una diminuzione dei costi legati alla patologia, legati ad esempio ai ricoveri. Un costo si può trasformare in un risparmio nel tempo, anche in termini di costi indiretti. Basti pensare che dai dati ricavati sempre dall’indagine IMPACT emerge che:

  •  l’81% dei pazienti interpellati è stato ricoverato in ospedale nel corso degli ultimi 5 anni a causa di problemi associati a IBD (il 34% per 1-5 giorni e il 46% per un periodo più lungo);
  • il 64% dei pazienti affetti da Colite Ulcerosa ha trascorso 6-10 giorni in ospedale;
  • il 16% è stato sottoposto a un intervento chirurgico, il 6% a due interventi chirurgici e il 14% è stato sottoposto a tre o più interventi chirurgici. Il 5% di tutti i rispondenti è stato sottoposto a cinque o più interventi chirurgici. Per migliorare questi numeri e diminuire i costi bisogna puntare su una più efficace organizzazione sanitaria che permetta, tra altre cose, una diagnosi precoce, presupposto questo che consentirebbe malattie meno aggressive e quindi più gestibili. Il paziente diagnosticato in ritardo soffrirà per una malattia più aggressiva e potrà frequentemente dover ricorrere al ricovero, da qui ingenti costi, per il Servizio Sanitario Nazionale e per il paziente, che perde giorni di lavoro. La nostra intenzione è quella di fare in modo che il paziente venga seguito in ambulatorio, provando a ridurre i ricoveri ospedalieri.

Oggi AMICI onlus promuove un grande progetto di comunicazione, per raccontare attraverso le video-testimonianze realizzate dagli stessi pazienti, non solo l’impatto di queste malattie, ma soprattutto le nuove prospettive che si sono aperte. Quali sono gli obiettivi di questa iniziativa? Quali sono i messaggi che vorreste far arrivare a tutti i pazienti e all’opinione pubblica?

Si tratta di un progetto innovativo per richiamare l’attenzione di pazienti, medici e mass media sulla qualità della vita delle persone con MICI. Un racconto collettivo per immagini della vita quotidiana delle persone con MICI per realizzare un cortometraggio basato sui video eseguiti dagli stessi pazienti per raccontare emozioni, speranze, progetti di chi deve convivere con le MICI. Sarà una sfida alla quale potranno contribuire tutti i pazienti con la loro esperienza per fornire spunti di riflessione a chi non conosce queste patologie, ma anche a chi le conosce perchè ci deve convivere ogni giorno. L’esperienza e la realtà̀ della malattia, come tutte le realtà̀ che l’uomo incontra nella sua vita. Si potranno, o dovranno probabilmente, raccontare anche situazioni pesanti, di sofferenza, perché non bisogna dimenticare che dietro questa campagna ci sono persone che soffrono. È anche vero che non vi sono situazioni in cui il paziente affetto da queste patologie non riesca a mettere in evidenza la propria umanità̀, a sviluppare quella ricchezza di contenuti, di solidarietà̀, di vicinanza all’altro, che ogni uomo possiede ed è chiamato a realizzare. Il risultato finale dovrà, nelle nostre intenzioni, far conoscere le MICI, ma soprattutto aiutare i pazienti ad avere fiducia e a vivere con maggiore positività.

Dottore, in che modo AMICI onlus offre supporto ai pazienti e contribuisce a promuovere l’informazione su queste patologie?

AMICI vuole assistere i pazienti in tutto il percorso che va dalla presa in carico alla gestione della patologia, sia dal punto di vista clinico sia da quello delle tutele, ponendo come prioritaria la salvaguardia della qualità di vita. Purtroppo in Italia manca una legislazione che tuteli questi pazienti. Queste persone, sia nell’ambito lavorativo che in quello della richiesta dell’invalidità, vengono penalizzate perché la malattia non viene loro riconosciuta. La conseguenza è che, a causa delle ripetute assenze dovute a motivi di salute, si trovano a volte ad affrontare situazioni di mobbing sul posto di lavoro, se non addirittura a perderlo. Questo rischio spinge molti malati a nascondere la propria patologia e a evitare di prendere permessi per la cura, peggiorando così il loro stato di salute.

Altri problemi sono una diagnosi tardiva e un accesso alle cure non standardizzato sul territorio nazionale. Sempre dall’indagine IMPACT risulta che per il 13% dei rispondenti sono stati necessari da 1 a 2 anni affinché fosse formulata la diagnosi. Sul campione totale, è risultato che il 14% ha dovuto attendere cinque o più anni per ottenere la diagnosi. Il medico di famiglia dovrebbe essere maggiormente responsabilizzato perchè spesso costituisce l’anello debole nella presa in carico, più che nella gestione, del paziente. Spesso, infatti, tende ad inviare in ritardo il malato allo specialista, il quale, come conseguenza, si trova a dover gestire una patologia che, essendo stata trascurata, è molto più aggressiva.

È invece importante che un caso sospetto o appena diagnosticato sia inviato il prima possibile a Centri di riferimento che garantiscano un approccio multidisciplinare: questi, grazie alla loro competenza, sono in grado di erogare prestazioni di qualità che nella maggior parte dei casi soddisfano i bisogni del paziente. Purtroppo talvolta il paziente viene indirizzato a centri non specializzati nella cura di queste patologie. In questi casi in genere non si sente seguito bene, spesso lamenta scarsa attenzione da parte del medico che non gli dedica, a suo avviso, tempo sufficiente e che non comprende le sue problematiche. Circa il 22% dei pazienti intervistati per l’indagine IMPACT ha, infatti, dichiarato di non aver accesso adeguato. Il 53% sente di non aver avuto l’opportunità di riferire allo specialista qualcosa di importante durante la visita e il 72% dice che avrebbe voluto che il gastroenterologo facesse domande più mirate e approfondite. Da tutto ciò deriva che il paziente non percepisce l’alta qualità erogata dal Servizio Sanitario Nazionale che è in linea con la maggior parte degli altri Paesi europei. Queste criticità rilevano la necessità di implementare strategie opportune nella gestione delle MICI.

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Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali:

i video dei pazienti raccontano la “nuova” qualità di vita

Giovani, spesso giovanissimi, sia uomini che donne. Colpiti da una malattia poco conosciuta e riconosciuta, tardivamente diagnosticata. Costretti a ridimensionare i propri progetti di vita a causa di sintomi ciclici e invalidanti (diarrea, anche di tipo emorragico, dolori addominali, vomito) che impongono forti limitazioni, sempre a rischio di complicanze severe che richiedono il ricovero in ospedale.

Sono le persone affette da Colite Ulcerosa e Malattia di Crohn, Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali o MICI, patologie a carattere autoimmune caratterizzate da un’infiammazione della mucosa intestinale. In Europa ne soffrono oltre 3 milioni di persone, almeno 200.000 in Italia.

In passato una diagnosi di MICI era una pesante ipoteca sul futuro a causa del carattere cronico e progressivo di queste patologie; inoltre la scarsa informazione sulle MICI espone i pazienti a un lungo iter di esami e accertamenti prima della diagnosi, ma anche a incomprensioni, pregiudizi e discriminazioni. Oggi però molte cose sono cambiate: queste malattie sono più conosciute che in passato ma, soprattutto, grazie alle nuove terapie biologiche che intervengono sulla progressione della malattia, le MICI non rappresentano più un ostacolo per una buona qualità di vita.

Ad accendere i riflettori sulle MICI è Ora che mi ci fai pensare, un progetto promosso da AMICI onlus – Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino, in collaborazione con IG-IBD – Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease ed EFCCA – Federazione Europea delle Associazioni Nazionali dei Pazienti, con il sostegno incondizionato di MSD, per far conoscere la vita quotidiana delle persone che convivono con Colite Ulcerosa o Malattia di Crohn.

I pazienti con MICI, o i loro familiari, sono invitati a raccontare attraverso un video momenti della loro vita quotidiana. Con le migliori scene di tutti i video girati dai pazienti verrà realizzato un cortometraggio. Per promuovere l’iniziativa, è stato realizzato uno spot visibile da oggi attraverso il sito www.orachemicifaipensare.it, dove i pazienti potranno caricare i loro video.

L’invito rivolto a tutti i pazienti con MICI e ai loro familiari è di armarsi di smartphone o videocamera e puntarli su un oggetto, una persona, un luogo: qualsiasi cosa permetta di capire meglio cosa significa convivere con una MICI e non rinunciare a vivere la propria vita.

Fino al 30 aprile 2015 i video, di durata non superiore ai 15 minuti, potranno essere caricati sul sito dell’iniziativa, dove si trovano inoltre il regolamento e tutte le altre informazioni utili per partecipare: www.orachemicifaipensare.it

Parlando di terapie, tra le innovazioni, da oggi si può annoverare un nuovo anticorpo monoclonale indicato per i pazienti con colite ulcerosa di grado moderato-severo che non rispondono alle terapie tradizionali.

«L’arrivo in Italia di golimumab è senza dubbio un’importante opportunità, un’arma in più per noi clinici, vista l’efficacia consolidata del farmaco e la comodità d’uso per i pazienti che, dopo la prima somministrazione in ambulatorio ospedaliero, possono comodamente autosomministrarsi il farmaco a casa con le penne pre-riempite una volta ogni 4 settimane – afferma Alessandro Armuzzi dell’Unità Operativa di Diagnosi e Terapia delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Complesso Integrato Columbus – Università Cattolica di Roma – su questo farmaco sono stati condotti due importanti studi multicentrici nell’ambito del programma PURSUIT: uno studio di induzione della risposta e della remissione clinica, l’altro mirato a valutare il mantenimento delle stesse. Le evidenze hanno confermato la risposta clinica di trattamento di induzione con golimumab in oltre il 50% dei pazienti; per quanto riguarda lo studio di mantenimento, oltre il 50% ha mantenuto la risposta clinica continua per un anno e, infine, il 40% dei pazienti a un anno dalla terapia ha mostrato la guarigione endoscopica».

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