mercoledì, Aprile 24, 2024
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VECCHI MESTIERI MILANESI

di Carlo Radollovich

Le attività esercitate nella vecchia Milano erano molteplici e ne descriviamo alcune, forse tra le più significative. Una tipica figura che i nostri concittadini osservavano parecchi decenni fa, quasi con ammirazione, era il “brumista” – vedi foto – il conduttore autorizzato di una vettura pubblica. Era tra l’altro ben voluto per la sua inconsueta eleganza: vestiva con tunica e pantaloni blu, cravatta bianca, gilet in panno rosso, pastrano di colore grigio e in testa un vistoso cilindro, piuttosto ampio, per consentire un certo ricambio d’aria.

Verso la fine degli anni Ottanta (1877), le carrozze pubbliche potevano contare su un tassametro in grado di garantire alla clientela un preciso costo della corsa. Esse furono prontamente battezzate “ragionatt”, termine attribuito a chi teneva i conti, capo della contabilità…

A proposito di trasporti, si facevano notare sulle sponde dei navigli i cosiddetti “cavallant” ossia coloro che badavano ai cavalli, intenti a trascinare i barconi contro corrente. A bordo dei barconi, che trasportavano non solo merci, ma anche persone che si recavano al lavoro, sedevano spesso anche tipiche macchiette milanesi (molto conosciuto era il Barbapedanna), che raccontavano in musica minuziosi fatti accaduti di recente in città.

Ma altri mestieri coinvolgevano persone addette alle vendite per strada, le quali disponevano di carretti di media grandezza. Si osservava ad esempio il “pessée” (pescivendolo), la “polieroeula” (pollivendola), che spesso uccideva galli e galline davanti ai clienti per dimostrare la freschezza del prodotto, la “donna di magioster” che vendeva fragole e talvolta anche frutti di bosco, “l’omm de la gnaccia” (il venditore di castagnaccio) che spesso attendeva i bimbi all’uscita delle scuole, il “carbonée” (addetto alle forniture di carbone) che in testa si poneva un sacco di juta per proteggersi dalla polvere nera.

Ma per strada si aggirava anche il “magnan” che aggiustava pentole e contenitori di metallo, il “moletta” (l’arrotino) che a squarciagola invitava le massaie a far rifare il filo alle loro forbici e coltelli. Caratteristica la figura dell’ “imbonidor” (imbonitore) che davanti ad un negozio, di norma appartenente ad altri, decantava dietro compenso tutte le specialità in vendita.

E che dire delle botteghe d’un tempo? La “sciostra” e il suo titolare “sciostree” vendevano carbonella, materiali e utensili per muratori, strumenti vari di lavoro e altro ancora. Gli “armiroeu” (armaioli) quasi tutti concentrati in centro città, vendevano non soltanto armi, ma si mostravano pure capaci tecnici nel riparare cane e grilletto dei fucili, nel mettere a punto i loro complicati meccanismi, eccetera.

Per la maggior parte in periferia erano invece attivi diversi mastri bottai, che aggiustavano contenitori in legno e sostituivano doghe ove necessario. Tra i mestieri meno nobili citiamo i “navascee” (bottinai) addetti allo svuotamento dei pozzi neri quando il sistema fognario non era ancora in funzione.

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