di Ugo Perugini
Non vi aspettate il detective classico alla Marlowe. Solitario, irregolare, insofferente dell’autorità precostituita. Il detective protagonista della vicenda narrata nel giallo “Notte d’inferno” di Michael Gelsomino è un uomo tutto casa, agenzia investigativa e famiglia. E l’autore lo sa bene perché la storia che racconta si riferisce a una delle inchieste condotte da suo padre, il prof. Giuseppe Gelsomino, titolare dell’Agenzia investigativa Shadow Detectives, con sede in via dei Mille a Milano. Tutto vero e verificabile, quindi.
Giuseppe Gelsomino non ha le caratteristiche di un Bogart, è più che altro un manager, che lavora per obiettivi, che ricorre a precisi schemi mentali e regole da seguire, che sa guidare i suoi uomini, li sa motivare, talvolta anche ricorrendo al pugno di ferro, ma sempre capace di mettersi in gioco in prima persona quando la situazione difficile lo richiede. Un uomo di grandi principi e con una forte integrità morale.
La vicenda narrata, che si rifà a fatti realmente accaduti, è ambientata nella Milano della fine degli anni Ottanta. La storia del ricatto – sui generis – perpetrato ai danni di un imprenditore, dal passato decisamente burrascoso, viene ricostruita in modo dettagliato seguendo passo dopo passo la cronologia degli avvenimenti e cercando anche di dare uno spessore psicologico ai vari personaggi che ne sono protagonisti. Naturalmente, non mancano momenti di tensione, inseguimenti, appostamenti e colpi di scena, fino a quello finale che porterà alla soluzione imprevedibile dell’enigma che, naturalmente non vi riveliamo.
Leggendo il libro da un’altra angolazione, si comprende come Michael Gelsomino, oltre a stimare il proprio genitore, sia anche lui un grande appassionato dell’arte dell’investigazione. In certi casi, infatti, il libro si trasforma quasi in una specie di piccolo manuale dell’investigatore privato, nel quale si ricavano indicazioni e suggerimenti sul modo di condurre gli interrogatori, su come procedere ai pedinamenti, sia a piedi che in auto, sull’utilizzo di tecniche di difesa fisica, sugli esercizi isometrici per resistere ai lunghi periodi di veglia fino ai rudimenti di cinesica e prossemica per interpretare gli atteggiamenti delle persone. Né mancano accenni alle filosofie orientali di cui il protagonista è un cultore.
Quello che distingue la narrativa di Michael Gelsomino è la sua prosa asciutta, lo stile denotativo e l’assenza di qualsiasi atteggiamento moralistico nel tratteggiare i personaggi che si muovono sulla scena trascinati loro malgrado da eventi imprevedibili. Questo mi porta a ricordare una seguitissima rubrica di tanti anni fa sulla “Domenica del Corriere”, redatta dal grande scrittore e giornalista, Mino Milani, che si intitolava “Realtà romanzesca” e che riprendeva fatti della cronaca ricostruendoli a mo’ di racconti a suspense.
Il fascino maggiore della scrittura di Gelsomino, quindi, sta proprio nel fatto che la storia non è un parto della sua fantasia ma è autentica, realmente accaduta. E la realtà, davvero, certe volte supera in imprevedibilità e assurdità la fantasia più sfrenata. D’altra parte, in un momento storico in cui siamo tutti coinvolti, volenti o nolenti, negli avvenimenti di cronaca legati a qualche delitto di cui non si riesce a scoprire l’autore e seguiamo le indagini, giorno dopo giorno, come in un giallo seriale, immaginando ogni possibile soluzione, sapere che c’è qualcuno che con intelligenza, tecnica e determinazione può arrivare alla verità rappresenta una soddisfazione – e una tranquillità – non indifferente.