venerdì, Novembre 22, 2024
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Tommaso Marino e il suo celebre palazzo

di Carlo Radollovich

Uno dei più conosciuti mercanti dell’epoca, Tommaso Marino, arrivò a Milano da Genova nel 1523 quando le sue finanze erano praticamente vicine allo zero.

Tuttavia, grazie alla sua intraprendenza e all’aiuto del fratello Giovanni, socio in affari, riuscì in breve tempo ad aggiudicarsi l’appalto dell’imposta sul sale, così come veniva definito a quei tempi, una sorta di esclusiva per tutto il ducato di Milano che assicurava a Tommaso e famiglia una cospicua entrata di denaro.

Nel giro di una ventina d’anni aveva accumulato notevoli sostanze, tali da consentirgli addirittura la possibilità di concedere prestiti. Finanziò, sempre a titolo di prestito, il governatore spagnolo don Ferrante Gonzaga e il famoso condottiero milanese Gian Giacomo Medici, generalmente conosciuto come il “Medeghino” (1498-1555), non imparentato con i Medici di Firenze. Praticava interessi da vero usuraio (attorno al 28-30%) e ciò contribuì ad accrescere ulteriormente la sua ricchezza.

Spinto da sentimenti megalomani, decisamente più che accentuati, acquistò nel 1553 il palazzo della famiglia Castelnovate, vicinissimo alla chiesa di San Fedele, e ottenne anche l’esproprio di diverse case che lo circondavano. Fece demolire tali fabbricati e nel 1558, su quella stessa area, fece costruire un palazzo (prima pietra posata il 4 maggio) che poi prese il suo nome, incaricando allo scopo il quotatissimo architetto Galeazzo Alessi, autore tra l’altro delle splendide ville genovesi Cambiaso e delle Peschiere.

Ma l’aver creduto nel poter gestire, in futuro, uno dei più sontuosi palazzi della città, non portò fortuna a Tommaso Marino. Diverse speculazioni completamente sbagliate e pesanti vicissitudini familiari condussero non soltanto allo spegnersi di tale idea, ma anche al fallimento dello stesso Marino, sempre più carico di debiti. Aveva fatto, come si dice, il passo ben più lungo della gamba.

E anche in famiglia non andò meglio. Suo figlio Niccolosio uccise la moglie Luisa de Lugo, spagnola, e il nome Tommaso Marino risultò ben presto infangato. Il fratello Giovanni perse l’appalto dell’imposta sul sale, ma riuscì a salvaguardare il proprio patrimonio.

Vi è inoltre da annotare che Tommaso, nel 1567, sempre più indebitato, assistette all’esproprio del suo amato palazzo, non ancora completato, il cui accesso era in origine verso piazza San Fedele. Poté usufruire soltanto di una piccolissima parte della costruzione, mentre il resto venne occupato da uffici e pure abitato dalla famiglia de Leyva (la stessa da cui sarebbe provenuta la Monaca di Monza). Tommaso Marino moriva nel maggio 1572, assillato dai debiti sino all’ultimo.

Nei secoli successivi, dopo vari passaggi di proprietà tra privati, palazzo Marino fu sede del Dazio, della Tesoreria e della Finanza. Nel 1860 la proprietà passò al Comune di Milano, che qui si trasferì nel 1861 dal Broletto. L’architetto Luca Beltrami, nel 1892, completò la facciata verso piazza della Scala.

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