Da un documento rinvenuto presso un vecchio antiquario milanese, datato 1565, si evince che un tale, di nome Marcello Pittaluga, dopo aver scontato per furto alcuni mesi di galera, venne perseguitato da diversi spiriti maligni non appena scarcerato.
I suoi familiari, tenuto conto che Marcello rifiutava tassativamente di cibarsi, si mostravano assai preoccupati e temendo che in lui vi fossero motivi di natura spirituale da chiarire, si decisero di affidarsi ad un prete che esercitava pure la pratica esorcista con il consenso della Chiesa.
In effetti, la persona alternava momenti di profonda depressione a scatti d’ira devastanti. Fu persino legato ad un letto durante una forte crisi improvvisa, probabilmente nervosa, ove le parolacce si intrecciavano con gestacci d’ogni genere. Tutto risultò inutile malgrado l’opera del prete, le molte benedizioni e certe tisane medicamentose.
Questo suo stato di grave malessere durò una trentina di giorni e si alimentava assai poco, finché una mattina d’ottobre fu preso da una forte convulsione. Il poveretto disse di avere un forte mal di stomaco e poche ore dopo vomitò una serie di strani oggetti che vennero “catalogati” con cura.
Si trattò di ossa di rane, di piume di gallo e di gallina, una testa di piccione, un cuore di merlo e addirittura formiche morte. Interpretata questa azione come conseguenza di un gesto satanico, il prete esorcista non volle darsi per vinto e si rivolse ai contadini del luogo per invitarli a pregare con devozione e pure a digiunare a favore di Marcello.
Finalmente, dopo giorni di notevoli sforzi, non soltanto di preghiere, Marcello Pittaluga si acquietò e si poté accertare che nel suo corpo si erano inseriti ben cinque demoni. E quando il poveretto si sentì completamente liberato dai diavoli, ebbe il coraggio di fare una pubblica confessione.
Ammise infatti di aver compiuto, mesi prima, due malefici. Il primo, ricorrendo a piume nere di gallo e di gallina, volle maledire un suo vecchio amico d’infanzia per certi torti subiti. Il secondo riguardò l’uccisione di due grosse pantegane, invocando al tempo stesso una potenza satanica affinché un suo odioso parente passasse a miglior vita.
Sinceramente pentito per tali malefatte, Marcello ricevette l’assoluzione da parte del prete per i peccati commessi e, d’accordo con i propri familiari, decise di recarsi a Bergamo, ove certi amici gli avevano offerto lavoro in una fabbrica di ceramiche. Di lui si perse ogni traccia.