Introdurre meccanismi premianti nei ruoli apicali per combattere il gender gap in ambito sanitario ed accademico: è questo…
…l’appello lanciato dalla Presidente di Women for Oncology Italy Rossana Berardi alle istituzioni politiche nel corso di “Donne che Curano” evento organizzato dalla stessa associazione a Montecitorio. Un luogo scelto non casualmente, dove la rete delle nove donne oncologhe – salvo eccezioni dovute alla pandemia- si sono negli anni ritrovate per rinsaldare il rapporto con le istituzioni attraverso proposte concrete e mirate. E quest’anno la proposta delle rappresentanti dell’associazione arriva proprio in un momento speciale per il mondo femminile, quando a rappresentare il governo ed uno dei principali partiti di opposizione sono guidati da donne. Fanno parte del consiglio direttivo oltre alla presidente Rossana Berardi, Fabiana Cecere, Rita Chiari, Marina Garassino, Valentina Guarnieri, Nicla La Verde, Laura Locati, Domenica Lorusso, Erika Martinelli.
“Non si tratta di stabilire quote rosa, né di privilegiare le professioniste donne ma di riequilibrare sulla base del merito un quadro che vede le donne per motivi diversi ancora troppo poco presenti nella classe dirigente medica ed accademica. Per questo chiediamo che vengano introdotti al più presto questo tipo di meccanismi che decretino le condizioni per una parità nell’accesso ai ruoli apicali, come ad esempio quello di Direttore Generale, che ancora non esistono”. Una seconda proposta di Women For Oncology dalla sala Regina di Montecitorio è relativa a correttivi di genere nei progetti di ricerca, che coinvolgano esperti valutatori e partenariati dove ancora esistono dislivelli tra uomo e donna. Le nove donne di W4O sono ricercatrici riconosciute a livello internazionale, docenti o primarie, ma per 9 che arrivano ce ne sono ancora dieci volte tante che arrancano nel far valere il proprio merito: in Italia su oltre. E su oltre 60 docenti meno del 10 per cento è donna. In questa linea l’associazione si occupa anche di fare formazione, come ad esempio nella creazione e formulazione dei curricula, impegnandosi a valorizzare le soft skills proprie delle colleghe e candidate.
Allo stesso modo è stata posta la questione della maternità per le ricercatrici che vedono riconosciuti sì bonus per il primo anno nell’ambito delle pubblicazioni, “Ma dal secondo in poi?” Si chiedono retoricamente le rappresentati di Women For Oncology: “La crescita dei figli non dura un solo anno, molti di più e poi veniamo così penalizzate anche nella firma delle pubblicazioni che fatalmente rallentano”. Il gender gap tuttavia non esiste solamente per chi cura e veste il camice bianco ma anche di chi è curato. Durante l’incontro è stato ribadito infatti la disparità di accesso alle cure sperimentali per la battaglia contro il cancro. Con numeri a supporto che lasciano pochi spazi a dubbi: su 100 pazienti oncologici arruolati nei protocolli di cura sperimentali per il cancro, in media 70-80 sono uomini e solo 20 o massimo 30 sono donne.
E questo non perché esistano a monte limiti nell’accesso alle terapie, bensì a causa di una barriera molto più insidiosa e difficile da sradicare: il ruolo sociale di ‘custode della casa’ e, spesso, di unico caregiver familiare che la donna, per quanto emancipata possa essere, porta ancora cucito addosso. È questo il vero freno invisibile che induce molte pazienti a non percorrere la strada delle terapie sperimentali, generalmente più impegnative, e di conseguenza ad essere di fatto penalizzate nel loro diritto alla salute. Da entrambi i lati le si guardi, curanti o curate, si comprende come la lotta per la parità di genere dell’associazione sia certo lunga quanto necessaria.