venerdì, Novembre 15, 2024
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Quando alcuni salotti contestavano il dialetto meneghino

Nell’Ottocento, il dialetto milanese andava sempre più affermandosi anche presso l’alta borghesia ed era pure apprezzato dal clero, tanto che il cardinale Karl Kajetan von Gaisruck, arcivescovo metropolita di Milano, morto nella nostra città nel 1846, tentava spesso di parlarlo malgrado l’accento teutonico lo tradisse in ogni frase.

All’inizio del Novecento, tuttavia, in alcuni salotti frequentati da contesse e contessine snob, si organizzava di tutto affinché mariti e figli abbandonassero il vernacolo per lasciare ampio spazio alla lingua italiana. Si stava forse dando vita ad una moda strampalata ? Si contestavano il Porta e i principali poeti milanesi dopo averli elogiati per parecchi anni ?

Queste persone avevano essenzialmente voglia di distinguersi e di spiccare un volo d’allontanamento da ciò che chiamavano con disprezzo “il popolino”. E si sforzavano nel convincere anche altri parenti nel prendere in considerazione una nuova luce linguistica. L’unica, secondo loro, permeata di autentica melodia espressiva: quella di Dante.

Ma i mariti, da anni abituati ad alcune tipiche espressioni milanesi, intercalavano spesso un “damm a trà” e cioè “ascoltami” quando la consorte sembrava distratta oppure inserendo un istintivo “robba de ciod” (cose incomprensibili o incredibili) per commentare fatti del giorno fuori dalla norma.

Le signore erano pronte a lanciare verso i mariti occhiate di fuoco, con sobbalzi di vera ansia, nel tentativo di far cessare frasi dal “linguaggio privo di controllo”, come sostenevano.

Ma si arrivava spesso anche all’assurdo, come certe cronache dell’epoca ci riferiscono. L’italiano era d’obbligo anche quando marito e moglie si ritrovavano soli tra le pareti domestiche. E quando lui tentava un approccio con una parola meneghina ossia “bruseghin” (bruciore d’amore), lei si raffreddava immediatamente con una risposta che non lasciava dubbi: “Sai bene che non posso accettare simili parole”.

Per fortuna esistevano anche altri salotti all’inizio del Novecento, ove la bandiera del nostro dialetto era tenuta ben alta, a dimostrazione che anche il nostro vernacolo è pur sempre vetrina culturale di un popolo. Ci si rendeva conto che la nostra parlata doveva continuare nel tempo, preziosa testimone non solo del passato.

E la “Famiglia Meneghina” nonché il “Circolo Volta”, con il loro operato, stavano a dimostrare che il frutto di certi insegnamenti meneghini si stavano pure proiettando verso un futuro sempre ricco di milanesità.

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