Quei poveri quarantatré morti, vittime del crollo del ponte Morandi verificatosi in quel tragico 14 agosto 2018, si rivolterebbero nella tomba se venissero a sapere che su quella dannata pila n° 9, andata completamente in frantumi, non era mai stato effettuato nemmeno un solo intervento di manutenzione.
Infatti, a partire dal 1967, anno dell’inaugurazione della prestigiosa opera che aveva incantato l’intera Europa, sino al 2018, non si contano né operazioni di rinforzo relative agli stralli né eventuali lavori di ripristino. Per chi si occupa di far luce su questo tristissimo caso, basterebbe evidenziare questa grave lacuna.
Come è possibile che, in un lasso di tempo così ampio (51 anni), non sia stato possibile ipotizzare alcuni particolari ammaloramenti per poi inserire indispensabili controlli seguiti da lavori manutentivi ?
Le persone sotto mira sono in ogni caso parecchie, precisamente settanta tra aziende, dirigenti, manager e tecnici incaricati di ispezionare e di monitorare la struttura.
Sono già stati notificati gli avvisi di conclusione delle indagini a cui faranno seguito le richieste di rinvio a giudizio, probabilmente entro il prossimo settembre.
Insomma, la corrosione dei cavi in acciaio degli stralli rimane alla base di tutti quei fenomeni che si sarebbero dovuti visualizzare e curare per tempo.
Ma ancora più disarmante e scoraggiante è la presa di posizione, emersa nel 2017, da parte del Comitato tecnico amministrativo che avrebbe dovuto lanciare l’allarme sulle anomalie di fondo poi venute alla luce.
A proposito degli stralli, così vengono descritti: “Uno stato di degrado impressionante, addirittura con la rottura di cavi metallici degli stralli e una incredibile pessima prestazione del manufatto”.
Ironia crudele della sorte: tale documento, purtroppo informale, incredibilmente non era stato messo agli atti.