giovedì, Aprile 25, 2024
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Un ponte dai fumetti all’arte: Daniele Afferni

di Ugo Perugini

Daniele Afferni non può essere che un artista, un “creativo”. Anche se oggi questo termine è un po’ abusato. Lo capisci appena lo vedi. Fa parte di quella genia di persone che vive nel nostro mondo ma sembra appena sceso da un’astronave, proveniente da altre galassie. Folta capigliatura scomposta, atteggiamento da eterno ragazzo (anche se i cinquant’anni li ha superati da un po’),  ispira subito simpatia per quel suo modo diretto, senza sovrastrutture, improntato  a una sorta di ritrosia – che non è falsa modestia – mentre ci parla delle esperienze, anche decisamente molto importanti,  che ha maturato negli anni in campo pubblicitario, cinematografico e del  fumetto.

Definire il suo lavoro non è facile. Anche i suoi figli glielo chiedono ogni tanto e ancora non hanno ben capito. D’altra parte, chi lavora sull’immaginario delle persone, per suscitare interesse al fine di accendere dentro di loro un desiderio d’acquisto o per sollecitare le loro fantasie, spingendole all’estremo, cercando di accompagnarle in universi paralleli, dentro mondi fantastici, presentando loro personaggi incredibili, eroi, creature aliene che si muovono solo in quegli ambiti, è difficile che si adatti a una definizione professionale univoca e “normale”.

Se usiamo i termini inglesi che oggi vanno per la maggiore forse ce la caviamo perché in più (virtù dell’esotismo!) hanno il pregio di contribuire a dare una maggiore dignità a certe professioni le cui definizioni nella nostra lingua sembrerebbero probabilmente meno suggestive: allora diciamo che Daniele Afferni è painter, illustrator, concept artist, visualizer.

“Il mio desiderio era disegnare e realizzare fumetti. Ho frequentato il liceo artistico e la scuola Superiore di Arti Applicate del Castello Sforzesco. Alla fine degli anni Ottanta, però, ho cominciato quasi per caso a  lavorare come illustratore presso l’agenzia pubblicitaria Armando Testa. Dopo questa esperienza, nei primi anni Novanta, ho deciso di aprire uno studio con tre soci, che si chiama ASC, nel quale creiamo molti tipi di immagini e illustrazioni per pubblicità, film e spot televisivi, collaborando con le più note agenzie pubblicitarie italiane e internazionali. Offriamo anche un supporto creativo in concept art, illustrazione 3D, pittura opaca e CGI.”

Ci puoi dire quali sono  le esperienze più importanti che hai maturato in questo settore?

“Ho lavorato sugli storyboard di opere cinematografiche e di pubblicità. Con registi di spicco come Wim Wenders, Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino (per uno spot della Campari), e Aldo, Giovanni e Giacomo. Ma nel nostro Paese, purtroppo, il cinema investe poco su queste figure professionali e i guadagni sono sempre piuttosto ridotti.

E il fumetto?

 “ Posso dire di avere avuto una doppia vita, come Batman. Di giorno il lavoro in ASC e la sera, la notte spesso, quello sui fumetti. Ho iniziato a dipingere ad olio le “mie creature” nel 2009, “La Cosa”, che è il manifesto della Mostra che sto facendo presso l’Hotel 38, è del 2012. E’ l’unico olio su tela in esposizione, gli altri sono tutti lavori in digitale che poi ho stampato. Ed è un po’ il ponte tra la pittura vera e propria e il fumetto. D’altra parte, come artista ho esposto in passato a collettive e personali a Londra, Berlino, Milano.”

Perché l’idea di trasporre i personaggi e gli ambienti dei fumetti  in lavori pittorici?

“ Perché il mondo di queste creature aliene, quasi divinità di mondi lontani, che si muovono con ideali diversi e spesso incomprensibili a noi umani, al di là del bene e del male, mi ha sempre affascinato.  E svolge su di me un’influenza catartica. In altri termini, è un modo per esorcizzare paure, ricercare al mio interno emozioni, sensazioni, da poter condividere con gli altri. Nei personaggi, nei loro volti, nelle loro espressioni, nei loro sguardi, nelle loro posture, tramite il disegno, posso compiere anche una azione introspettiva per portare alla luce certi aspetti del loro carattere. E, forse, del mio. Il loro, alla fine, è sempre un messaggio totemico,  iconico che va interpretato. Anche le mie creature femminili rispondono forse a certe fantasie adolescenziali, hanno in sé una certa forza erotica ma anche una carica di magia che le rende uniche, come idoli da venerare. Mi piacciono molto anche i paesaggi, specialmente quelli urbani, di città del futuro, con dimensioni e prospettive che suscitano un senso di spaesamento che sconfina quasi in una sorta di sottile vertigine (io soffro di  vertigini).”

Tu lavori anche insieme a Davide Chiesa nel Gruppo Avalanche. Cosa fate esattamente?

Avalanche è un gruppo (NDR.:loro si definiscono branco) di scrittori, autori, esperti di marketing, tutti fan del fumetto, e realizziamo alcuni brevi lavori a fumetti, condividendoli con il pubblico. E’ un modo per farsi conoscere, per crearsi un nostro portfolio da presentare sul mercato. Già sono stati raggiunti risultati importanti come la realizzazione di fumetti per un editore giapponese (che ha prenotato 12 numeri da 15 tavole ognuno) e una storia horror con la David Lloyd editore.”

Pubblicità, fumetti, arte. Che differenze ci sono dal punto di vista del lavoro?

La pubblicità è quella che impegna di più perché i tempi di lavoro sono sempre strettissimi e oltretutto è necessario tenere sempre conto delle esigenze dei clienti, che in sono in certi casi sono davvero stressanti. Anche per il fumetto il rispetto dei tempi è importante e sta alla base della credibilità di un disegnatore, ma vi è decisamente più libertà nell’interpretazione della storia. Poi c’è la pittura che è assolutamente libera; qui è possibile esprimere se stessi, senza remore o  condizionamenti di alcun tipo. Ecco perché ha su di me un fascino notevole.”

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