venerdì, Aprile 26, 2024
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Paolo Fraternali, opere ad olio: quasi una scelta “optical”?

di Ugo Perugini#

L’Hotel 38, in via Canonica 38, è gestito da una persona che ama l’arte. E lo si capisce perché la grande hall all’ingresso è sempre dedicata a esposizioni di opere di scultura e pittura. Ma c’è anche altro.

Bisogna scoprirlo, e credo che in certi casi ne valga la pena. In sala colazione, al piano di sotto, eventualmente insieme a un cappuccino o un caffè, potrete infatti apprezzare per tutto il mese di febbraio alcune opere ad olio dell’artista Paolo Fraternali, pittore e incisore, nato a  Urbino e residente a Conegliano.

La mostra si intitola allusivamente “Good Collection”. Fraternali, oltre che docente presso l’Accademia di Belle arti di Venezia (Tecniche dell’incisione e grafiche d’arte), è artista di caratura internazionale. Ha esposto in mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Sue opere sono presenti anche in vari musei. Fraternali, oltretutto, è un dinamico operatore culturale che ha alle spalle numerose iniziative, tra le quali, le più recenti, l’Art Festival Jefferson Waller  in Fort Marghera a Venezia, di cui è ideatore e direttore artistico, e il Biosalus Art ad Urbino.

***

Non è semplice avvicinarsi alle opere di Fraternali. Non mi soffermerò sui suoi lavori di incisione ma solo su quelli pittorici. Poi devo, obbligatoriamente, e almeno inizialmente, prescindere dalle sue affermazioni sulla vicenda dell’arte e sulla sua interpretazione. Ci tornerò alla fine. Ma lo faccio per evitare di essere condizionato. E per chi, come me, cerca di esaminare le opere che si trova di fronte senza volere ad ogni costo essere didascalico, smettendo i panni, qualora qualcuno glieli voglia cucire addosso, della pizia in grado di sollevare il velo del mistero artistico per spiegarlo al volgo, senza voler proporre ancoraggi e categorizzazioni storiche o criteri ermeneutici, che spazino tra valutazioni tecniche ed estetiche, la cosa basilare è restare libero di ribaltare, se vuole, i banchetti sacrileghi dentro il tempio. Osservando, poi con olimpica serenità e dal di fuori, l’effetto che fa.

Forte di questa libertà, che è anche, lo ammetto, impudenza o sfrontatezza, posso affermare che i lavori pittorici di Fraternali producono in chi li osserva una esperienza particolarmente fruttifera e ricca di possibili e diverse interpretazioni. Che si cerca di più in un’opera d’arte? Vedere è interpretare. Prima di essere descritto, spiegato, valutato ed edonisticamente fruito un prodotto d’arte mantiene il suo senso a condizione, e forse a garanzia, che possa essere oggetto di interpretazione, cioè finisca tutto intero, così com’è, nella contingenza prospettica e situazionale del fruitore. In altri termini, quel che conta è che l’opera sviluppi una sorta di strisciante postulazione trascendentale  a cui la riflessione del singolo ricorre nel tentativo di rimediare alla mancanza o limitatezza di senso.

Tenere nel debito conto la soggettività del fruitore non significa negare la possibilità di una interpretazione corretta o criticamente e storicamente avallabile. Significa abbandonare volutamente  ogni pretesa di esaustività per poter ricostruire di volta in volta il senso soggettivo di chi la fruisce, di chi se ne appropria osservandola e afferrandola in virtù di una intuizione critica che ha la medesima natura dell’intuizione creatrice.

Qui, il salto filosofico che si richiede non è semplice ma avventuroso. Il rapporto soggettività-oggettività non ce la fa a reggere, non ci si può aggrappare ad alcuna istanza ordinatrice che si rivelerebbe illusoria e operativamente insufficiente, occorre sottostare al processo di autoproduzione del soggetto, nel suo lavorio interiore che lo porta lontano da qualsivoglia inquadramento normativo. E lo rende libero abbastanza da giudicare in proprio e con piena coscienza il valore personale di quel processo che lui stesso ha messo in movimento.

Tutto questo per dire che Fraternali ha ragione quando dice che è sbagliato pensare che l’arte proceda per evoluzioni continue, come la scienza. L’arte si pone a un piano superiore rispetto alla linea immaginaria del tempo. Non ha senso definire un prima e un dopo. L’arte è ”lo strumento per far riaffiorare l’essere, l’essenza intrinseca delle cose, che l’artista comunica per mezzo della sua sensibilità a tutti coloro che hanno acquisito la capacità di soffermarsi ad ascoltare.” (A.Locatelli, 2004)

Ma ecco che chi scrive questo pezzo è pronto a calare una carta che rimette in discussione tutte quante le affermazioni fin qui esposte, proponendo una sua personale e soggettiva interpretazione. Esponendola alle più che giustificate censure da parte di chi la leggerà. Nelle opere ad olio su tela di Fraternali è proprio così lontano dal vero, chi osa tirare in ballo l’optical art? Nei suoi lavori, beninteso, non vi è nulla di geometrico, di perfettamente stabilito secondo soluzioni tecniche e rigidi codici visivi e percettivi ma il gusto del gioco c’è, e c’è soprattutto il gusto della sperimentazione grafica portata al limite, l’idea del movimento celato dietro forme, immagini e abbinamenti di colori con una ricerca estetica bi-tridimensionale, grazie a effetti, in qualche modo voluti e, perciò, efficaci.

Facciamo qualche esempio.

Omphalos, 2006
Omphalos, 2006

Prendiamo il lavoro intitolato “Omphalos”. Come non riconoscergli una forza evocatrice propria, quasi mistica, al di là dell’indicazione del titolo che comunque richiama un oggetto religioso che voleva rappresentare l’ombelico, il centro del mondo? La sua carica ipnotica risiede nella forma ciclopica e a imbuto ma anche nella scelta coloristica efficace e nei brillanti richiami dorati che favoriscono i movimenti saccadici dell’occhio, in un gioco di ricerca/inseguimento.

Traffico 0&, 2006
Traffico 0&, 2006

Nell’opera”Traffico 06”, il richiamo labirintico del disegno costringe l’occhio a un percorso a serpentina. Si mettono in movimento i muscoli degli occhi in operazioni di abduzione, adduzione, elevazione e abbassamento. Un esercizio che non ha solo effetti fisici sul sistema oculare ma coinvolge lo stesso sistema nervoso, provocando una sorta di autocontrollo, alla ricerca armonica di un obiettivo.

Dedicato a Michelangelo Antonioni
Dedicato a Michelangelo Antonioni

 “Dedicato a Michelangelo Antonioni” è un altro di quei lavori che si presta a valutazioni ottico-visive. Qui ci si pone di fronte a un’ipotesi di paesaggio. Una linea di confine immaginaria che fa prolungare il nostro sguardo. La presenza di “distruttori della continuità visiva”, a livello di strisce e linee colorate, crea nell’occhio operazioni di aggiustamento continuo, eccentriche rispetto all’obiettivo. Le afferenze visive si tramutano in messaggi e comandi oculo-visivi. Un solletico alla retina che può risultare gradito.

Ma, come dice un altro critico soffermandosi sul senso delle opere di Fraternali, il dubbio interpretativo rimane perché siamo di fronte a un misterioso, quanto intrigante, “processo alchemico… “costruito in modo “che la materia pittorica giunga a celebrare se stessa” (Daniela Caiulo). Dall’imbarazzo, alla fine, ci toglie lo stesso artista, che vede lungo e mostra profonda padronanza intellettuale, quando sostiene che “il suo primario orientamento sono le asserzioni piuttosto che i concetti”. A prescindere dai suoi contenuti, pertanto, il messaggio ha senso esclusivamente se è quando viene ricevuto. O meglio, nell’atto stesso dell’essere ricevuto, addirittura oltre l’insopprimibile esigenza di dover significare qualcosa. E qui, per quanto mi riguarda, il cerchio si può chiudere.

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