Con la stretta necessità di rafforzare l’alleanza con la casa aragonese, respingendo al tempo stesso le mire egemoniche di Venezia, Ludovico il Moro volle sollecitare il matrimonio tra il nipote Gian Galeazzo, nato ad Abbiategrasso nel 1469, e Isabella nata a Napoli nel 1470.
Dopo molteplici contatti, positivi, Ludovico inviò nella città partenopea una sua persona di fiducia con l’incarico di concludere i vari “negoziati” relativi alla dote, poi fissata sull’importo di 100mila Ducati e cioè 80mila da saldare subito dopo il matrimonio e 20mila entro un anno.
Firmati gli accordi, il corteo nuziale salpò da Napoli su undici navi (galee) dirette a Genova per poi proseguire verso nord su comode carrozze. Le condizioni del mare erano pessime, tanto che le persone al seguito, in totale 400 tra gentiluomini appartenenti al Regno di Napoli, decine di persone componenti la servitù, guardarobieri e donzelle che avrebbero partecipato alle nozze in chiesa, chiesero una sosta a Gaeta e poi a Civitavecchia.
La comitiva, finalmente sbarcata al porto di Genova il 23 gennaio 1489 e accolta in città da uno scampanio in crescendo, raggiunse Busalla verso sera e qui poté pernottare. Il giorno seguente tutti raggiunsero Tortona e qui furono raggiunti dallo sposo Gian Galeazzo e dallo zio Ludovico il Moro.
Tortona si trovava, e si trova tuttora, a metà strada tra Genova e la mitica Milano, a cui le menti degli invitati già pensavano. In effetti, Ludovico stava procurando ai milanesi fulgore artistico e soprattutto benessere, escluse ovviamente le classi più indigenti.
Ma a Tortona il tempo era sempre più inclemente e, nonostante questo handicap, parecchie strade erano state ornate con ghirlande e decori vari. Isabella e Gian Galeazzo, assai infreddoliti, cercarono subito un po’ di tepore presso l’edificio di Bergonzio Botta, maestro delle entrate ordinarie del ducato, il quale aveva organizzato un lauto banchetto in onore dei futuri sposi in grandi sale.
Dopo essersi rifocillati e riposati almeno un poco, venne servita più tardi la cena, e uno degli invitati, testimone dell’evento, così la descrisse: “Nessuna portata non fu servita che non fosse preceduta da un mimo o da un cantante con delle note attinenti a questo convivio”.
Ma ecco le portate messe in tavola: si iniziò con gamberi cucinati con una speciale salsa, poi fu la volta di un vitello ripieno di vari uccelletti, di altri due vitelli farciti con fagiani interi e pernici, il tutto innaffiato con ottimo vino. Poi brodo lardiero, salsa verde, mele e pere.
Da notare l’ingresso nelle sale di diverse raffigurazioni di molte divinità marine poiché si riteneva che l’unione di certi cibi terrestri (caldi) con quelli offerti dal mare (tiepidi e umidi) favorisse la fecondità degli sposi. Il pranzo si concluse con la recita di alcune fiabe recitate da un attore che impersonava Orfeo, dalle tre Grazie, dalla Fedeltà coniugale e da Mercurio.
In seguito tutti a dormire, con i promessi sposi – cosi dicono le cronache – sistemati in letti separati.
L’indomani tutti quanti raggiunsero Abbiategrasso e, su barconi di gran gala, si affidarono al Naviglio Grande per raggiungere la chiesa di San Cristoforo a Milano. Molte personalità erano presenti nel tempio per omaggiare gli sposi.
Ma ormai si è pronti per raggiungere in carrozza il Castello Sforzesco ove tutti furono accolti con festeggiamenti particolari, tra cui una rappresentazione teatrale, giochi meccanici, fontane illuminate da torce con particolari effetti di luce secondo precisi accorgimenti studiati da Leonardo Da Vinci, che in quegli anni risiedeva presso la corte di Ludovico.
Il mattino seguente la coppia ducale entrò nella cattedrale, arredata con panni artistici e festoni di ginepro, per la prevista cerimonia benedetta dal vescovo di Piacenza e dal vescovo di San Severino. Al termine del rito, Isabella e Gian Galeazzo si dirigeranno verso il castello di Vigevano.