Lo scorso anno si onorava la memoria del poeta Carlo Porta, ricordando il bicentenario della sua morte con sentite manifestazione d’affetto da parte dei vecchi milanesi e non solo. Pure lo scrittore francese Stendahl, suo sincero amico che ne apprezzava le poesie, lo definiva “l’affascinante Carlino”, soprattutto per il suo inconfondibile stile d’espressione.
Ora, pensando anche alla spontanea parlata in meneghino del Porta, come riferiscono gli storici, ci si chiede perché, nel nostro bel dialetto, centrino per lo più le conversazioni effettuate tra persone anziane, spesso gettando nel dimenticatoio il suo linguaggio saggio, popolare, forse un po’ ruvido, ma altamente espressivo.
Eppure riteniamo centrata la volontà di coloro che intendono farlo resuscitare da quello stato di catalessi in cui sembra precipitare. E anche tra i giovani, nati nella nostra città, capita di sentire qualche vocabolo ascoltato dai loro nonni. A questo proposito li abbiamo pure spiati mentre citavano le commedie di Piero Mazzarella, ove spiccavano certe “milanesita’” che oggi appaiono quasi tramontate.
A proposito di giovani che tentano di darsi una convinta aria meneghina, abbiamo sentito l’altro giorno da due studenti un paio di frasi che ci hanno fatto piacere: “l’è magher, par ch’el mangia doma’ lusert” (è magro, sembra che mangi soltanto lucertole) e ancora “el corr come on lacchee” (corre molto velocemente).
E poi ecco le parole captate tra due giovani signore: “despettenada” (spettinata) e “moletta” (arrotino). Insomma, non è molto, ma ciò potrebbe costituire un primo accenno di rinascita del nostro dialetto e speriamo che, seppure lentamente, la nostra parlata possa riprendere il volo…