venerdì, Dicembre 20, 2024
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MILANO DAVVERO POVERA (1918) E LA FINE DI UN ACCATTONE

di Carlo Radollovich

Al termine del primo conflitto mondiale, anche Milano si stava leccando le proprie ferite e cercava di risorgere, non tanto per le case cadenti da ristrutturare o da rimettere in ordine (si lamentava infatti una sola incursione aerea nemica, nei pressi del Cimitero Monumentale), quanto per potersi finalmente riappropriare, in sufficiente misura, dei generi di prima necessità.

La vita riprendeva piano piano anche nel Borg di Scigollat (Borgo degli Ortolani), ma le famiglie meno abbienti faticavano (anche allora) a giungere alla fine del mese. Ci si aiutava fraternamente tra vicini di casa. Se qualche bambino portava chiaramente in viso i segni della denutrizione, ci si faceva in quattro per offrire alimenti. Insomma, le pene e le gioie (davvero poche) erano veramente di tutti e le parole “conforto” e “carità” si distinguevano nel cuore di ogni cittadino.

Quando le “donazioni” non potevano essere effettuate, si ricorreva ai piccoli baratti: ogni tipo di verdura poteva essere scambiato con qualche etto di zucchero, una bistecca di carne (non certo della più pregiata) con un po’ di olio di semi o del più apprezzato olio d’oliva e così via.

Si narra che In una via centrale del Borg, tra una catasta di stracci e di cartoni, vivesse un poveraccio, abbastanza anziano, vittima di parecchi dispiaceri familiari, talmente conciato nei modi e nel vestire, da essere considerato praticamente un barbone. Malgrado venisse sempre preso in giro da una decina di ragazzini, non reagiva mai: non importunava le persone, non si ubriacava e nemmeno chiedeva la carità. Desiderava soltanto disporre di un piatto di minestra, di riso o di pasta, per poter sopravvivere.

A fianco della sua miserevole cuccia, egli posava scodella e cucchiaio su una sorta di cabaret e si affidava al buon cuore della gente. Era mite di carattere e tutti gli abitanti del quartiere gli volevano bene, non solo per la sua discrezione, ma anche per il suo ostinato silenzio, conseguenza delle mille sofferenze patite.

Un giorno, una mamma, passandogli accanto, si lamentava per i capricci del suo bambino e pronunciò ad alta voce la seguente frase: “ Se non la smetti, ti faccio portare via da quell’uomo”. Fu allora che il poveraccio ruppe il silenzio e disse al bambino: “Ti assicuro che io non ho mai portato via nessuno, ma tu devi seguire i consigli della mamma e le devi soprattutto ubbidire. In caso contrario, potresti fare la mia fine”.

Il pacato suggerimento del poveraccio fece il giro del quartiere e la gente gli dimostrava ancora più affetto. Ma in una fredda mattinata d’autunno, una signora notò che a fianco dei suoi miseri stracci non era stata posta la solita ciotola con il cucchiaio. Diede un’occhiata al giaciglio, sollevò un lembo di coperta e constatò che il poveraccio se n’era andato per sempre. Ma i tratti del suo viso erano ancora sereni, da persona in pace con il mondo intero. Forse, anche da morto, intendeva trasmettere alla gente un invito alla concordia e alla tranquillità d’animo, malgrado la diffusa povertà.

 

 

 

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