Sono passati cento e un anno dalla morte di Mario Puccini (1920), pittore livornese nato nel 1869. La celebrazione del centenario, nel 2020, è stata impedita dalla pandemia. Ora, si rimedia con una grande mostra presso il Museo della Città di Livorno che ospita oltre 140 opere dell’artista.
Pochi conoscono questo pittore, molto legato alla sua terra, ma riscoprirlo ci sembra un’operazione meritoria perché Puccini può essere anche lo strumento adatto per mettere a fuoco, oltre alle sue stesse opere, alcune davvero meritorie, anche figure di altri artisti che furono importanti in quel periodo, che va dal tardo Ottocento ai primi Novecento. Parliamo di Fattori, Lega, Nomellini, Ghiglia e altri minori. E il clima culturale che si viveva nell’ambiente toscano.
E poi – assolutamente non secondario – c’è il fatto che su di lui grava l’alone del pittore folle, dal momento che Mario Puccini venne internato per quasi cinque anni nel manicomio di Siena per disturbi mentali, quando aveva poco più di vent’anni. A calcare la mano su questo aspetto della sua vita fu soprattutto Emilio Cecchi, scrittore, giornalista, critico letterario, quando definì “il selvaggio pittore livornese” come un “Van Gogh involontario” oggi, diremmo un “Van Gogh a sua insaputa”…
Cecchi, umanista, romantico, di fronte alle opere di Puccini non poteva esimersi dal mettere in rilievo certi aspetti un po’ borderline della figura di un pittore fuori dagli schemi, portatore di una “coltura spontanea”. Uno che – sono sempre le sue parole – “ha fatto il bracciante, il cameriere, il venditore di aghi e cotone, un personaggio dostoevskijano”.
Per quanto ci riguarda, Puccini probabilmente quando venne internato visse un periodo che oggi definiremmo di forte depressione, nulla di più: mancanza di interessi, di energia, incapacità di concentrarsi, rallentamento psicomotorio. E i documenti dell’archivio dell’ospedale in qualche modo ce lo confermano. E se il padre, che l’aveva fatto internare, non ci avesse ripensato e ne avesse richiesto la “custodia domestica” probabilmente oggi di un Puccini pittore nessuno più parlerebbe,
E’ vero che per un breve periodo svolse lavori diversi, ma la sua passione era la pittura, che d’altra parte non abbandonò mai. Non dimentichiamoci che era professore di disegno. Prima della parentesi al manicomio di Siena, si era già messo in mostra con opere interessanti (“Ritratto della sorellastra Carlotta”, 1887) che risente degli influssi di Fattori, suo maestro e di Lega, e “La modella”(“la fidanzata”) dove è più presente qualche riferimento a Nomellini. A cui aveva fatto seguito una serie di Autoritratti.
Il passaggio dalla ritrattistica al paesaggio nasce dalla necessità di cogliere il più possibile gli aspetti cangianti della luce, soprattutto sulle acque (vedasi “La Darsena”), ma anche sugli alberi, come nell’opera “Pineta”, sui quali coglie riflessi violetti o i buoi azzurri che riportano alla memoria la famosa “mucca gialla” di Franz Marc (1911).
Puccini, anche non volendolo, oltrepassa i limiti imposti dalla visione di Fattori (refrattario alle ricerche sulla luce e i colori, a discapito della forma) e si avvicina a certi richiami d’oltralpe che ne fanno un artista di caratura europea. Probabilmente, Puccini visitò la mostra dell’Impressionismo che si tenne a Firenze nel 1910, dove poté ammirare opere di Gauguin, Van Gogh, Cézanne, Degas e ne rimase affascinato.
I suoi paesaggi sono tutt’altro che usuali, per la scelta degli scorci, per il taglio delle inquadrature, e tutti sono supportati da un vigoroso cromatismo, ben evidente anche nelle opere eseguite a Digne, nelle Alpi Marittime, e in seguito quelle che hanno per soggetto la campagna della Maremma o la Versilia.
Puccini era anche molto attento alla vita di ogni giorno. Alle persone in ozio, ai bambini seduti davanti alle abitazioni. Al lavoro dei contadini e degli artigiani, tanto è vero che certi suoi ritratti fanno pensare a un famoso lavoro di Van Gogh “Il giardiniere” (oggi alla GAM di Roma), opera che il livornese senz’altro vide e ammirò moltissimo e a cui viene dedicata una sezione speciale della mostra.
Ci vuole un po’ a visitare l’esposizione perché sono state allestite ben otto sale per descrivere i lavori del livornese, ma ne vale la pena. Dagli esordi di Puccini, alla parentesi del ricovero in manicomio, dal legame con Fattori all’influsso del post-impressionismo francese; dai dipinti eseguiti per il Caffè Bardi ai paesaggi, per finire con opere che riguardano personaggi del popolo, ritratti e nature morte.
La Mostra che resterà aperta dal 2 luglio al 19 settembre 2021 è stata curata da Nadia Marchioni ed è visitabile da martedì a venerdì (10,00-20,00) sabato, domenica (10,00-22,00) Biglietti: 8 euro, ridotti: 5 euro.
La mostra è anche un’occasione per una bella gita a Livorno. Città da visitare per i monumenti, l’Acquario, e per gustare la sua cucina (il famoso caciucco livornese). Un aiuto al turismo che deve riprendersi…