di Carlo Radollovich
Forse non tutti sono a conoscenza che il palazzo Berri Meregalli, situato in via Cappuccini 8, a due passi da Corso Venezia, rispecchia un angolo della Barcellona catalana in pieno centro a Milano.
Lo potremmo classificare come un autentico mix tra l’arioso stile Liberty di Adolfo Coppedé (1871 – 1951) e il caratteristico modernismo dell’architetto spagnolo Antoni Gaudì (1852 – 1926). Viene in ogni caso considerato come un importante capolavoro del piacentino Giulio Ulisse Arata (1881 – 1962), il noto architetto che venne incaricato del recupero del centro storico di Bologna e del Nuovo Ospedale Maggiore di Milano.
Eretto tra il 1911 e il 1914, il palazzo Berri Meregalli si presenta come una sorta di “rimescolamento” tra lo stile romanico (vedi a questo proposito il tipo di pietra impiegato, i tipici mattoni a vista, gli archi, le logge) e lo stile Liberty, come già si accennava, riconoscibile nei putti di cemento, negli affreschi e pure nei diversi ferri battuti a riccio, questi ultimi eseguiti dall’artista Alessandro Mazzucotelli, del quale ci eravamo occupati in parte nell’edizione de “ilMirino” del 30 marzo scorso.
Entrando nel palazzo, dopo aver superato la cancellata in ferro battuto, che con un po’ di fantasia potrebbe ricordarci le inferriate di un castello medievale, ci imbattiamo nello stupendo androne, dai colori quasi fiabeschi, in cui spiccano eleganti marmi, archi in cotto, artistici soffitti a cassettoni e anche mosaici realizzati da quell’Angelo D’Andrea (1880 – 1942) che riuscì ad attirare l’attenzione di Vittorio Emanuele III nel 1910 con un famoso quadro, “La nube rossa”. Egli riuscì pure a comporre un curioso mosaico per lo storico Caffè Camparino, nella galleria Vittorio Emanuele.
In fondo all’ingresso, è possibile ammirare una preziosa statua di Adolfo Wildt (1868 – 1931), scultore, disegnatore e medaglista, insignito della Commenda della Corona d’Italia: si tratta di una testa di donna, delicatamente abbellita con un velo e addirittura con un paio di ali stilizzate.