di R. Righi
Uno dei problemi che più assilla i medici ma anche i pazienti è la possibilità di rilevare in anticipo la presenza della malattia di Alzheimer, al di là dei vari segnali del comportamento che possono comparire, come perdita della memoria, piccole alterazioni della personalità, ecc. Anche perché quando tali segnali appaiono, spesso si è in ritardo nel rallentarne il decorso.
Una ricerca effettuata presso la Rowan University School of Osteopathic Medicine di Stratford negli Stati Uniti avrebbe individuato un test del sangue in grado di rilevare la presenza di questa grave patologia, consentendo così ai medici di intervenire in tempo e in una fase ancora piuttosto precoce.
I risultati di questa ricerca sono stati resi pubblici al Congresso Omed di Orlando dal coordinatore Robert Nagele che avrebbe individuato degli anticorpi che funzionerebbero da biomarcatori base nel sangue, in grado perciò di rilevare e individuare la malattia anche in una fase iniziale, permettendo ai medici di intervenire con molto anticipo sugli stili di vita del soggetto e rallentare in tal modo la progressione della patologia.
Ancora oggi non si conoscono le cause di questo grave morbo. Quel che è certo è che la possibilità di conservare nel cervello una barriera emato-encefalica sana è l’unica misura preventiva efficace. E come è possibile farlo?
Occorre anzitutto individuare quelle malattie che possono creare problemi alla salute dei vasi sanguigni e che causano le terribili placche della proteina beta-amiloide che bloccano le sinapsi, ossia i collegamenti tra i neuroni, e determinano il processo di demenza che una volta iniziato diventa irreversibile. Le malattie che stanno alla base di questi effetti negativi sono ormai ben note: il diabete, il colesterolo alto, l’ipertensione, il sovrappeso.
Si è sentito spesso parlare di esami del sangue che possono rivelare l’Alzheimer. Un anno fa alcuni ricercatori inglesi del King’s College avevano realizzato un sistema basato su analisi delle proteine che poteva predire l’insorgere della malattia con almeno dodici mesi di anticipo. Anche alcuni ricercatori italiani avevano messo a punto un sistema predittivo sulla concentrazione del rame nel sangue. Ma la recente scoperta dell’Università di Rowan sembrerebbe fornire maggiori garanzie.
La ricerca di Nagele e dei suoi collaboratori si è fissata soprattutto sugli autoanticorpi, che sono formati da detriti cellulari generati da tutti gli organi del corpo e che variano a seconda dell’individuo, del sesso, dell’età, della presenza o meno di malattie o lesioni specifiche.
Al termine di queste riflessioni, comunque, resta il fatto che è importante mantenere uno stile di vita sano, curando la nutrizione e l’esercizio fisico. I medici lo ripetono spesso ma purtroppo i pazienti sembrano seguire questi consigli solo dopo che è emersa una malattia grave che li obbliga in tal senso. In altri termini, meglio prevenire che curare.
Anche perché i numeri di questa patologia sono preoccupanti e lo saranno ancor più in futuro quando aumenterà ulteriormente la speranza di vita: nel mondo attualmente vi sarebbero 44 milioni di individui ammalati di Alzheimer o demenza senile che nel 2050 potrebbero arrivare a 135 milioni!