Il nuovo album realizzato da Ivano Leva, pianista e compositore nato a Napoli nel 1975, si intitola “Hic et Nunc”, uscito in questi giorni per NovAntiqua. Con i suoi lavori, siamo di fronte a qualcosa di diverso dal consueto, brani che vanno affrontati con attenzione ma anche con spirito di curiosità e intelligenza.
L’originalità di Ivano Leva, infatti, sta nel fatto che tutti i brani che esegue sono improvvisazioni in real time. Lo stesso pianista descrive il suo lavoro come una ricerca profonda, quasi intimista, del suo sé artistico.
E in questa ricerca vuole coinvolgere l’ascoltatore, renderlo partecipe di un fenomeno creativo che si realizza in tempo reale, appunto, davanti a loro.
Ecco cosa dice in proposito: «… La conquista di una libertà percepita come totale è una strada che incrocia paradossi e ossimori, sovrappone rigide griglie cognitive con rarefatte nuvole emotive, che spesso ha il profumo di tradizioni lessicali e concettuali lontane nel tempo e nelle ubicazioni geografiche, e che soprattutto è scavata nell’impervio terreno della risoluzione di problemi (tecnici, musicali, estetici, formali) in tempo reale, o quantomeno in frazioni infinitesime di secondo».
Dove vuole arrivare Ivano Leva in questa ricerca? È ancora lui a suggerirlo: «l’ambizione ad un idealismo scevro da freni inibitori, sordo ad ogni forma di contraccezione, l’anelito ad essere parte costitutiva dell’hic et nunc del suono, del suo vibrare qui e ora ad una velocità proiettiva che sovrasta e annulla ogni limite temporale, divenendo ovunque e per sempre».
Ivano Leva , diplomato al Conservatorio Perosi di Campobasso in pianoforte e al Conservatorio San Pietro a Majella a Napoli in composizione, passa dagli interessi classici alla passione per il jazz.
Vincitore di numerosi concorsi nazionali e internazionali, svolge una attività concertistica in giro per il mondo, ma non abbandona la ricerca, specialmente per quanto riguarda il suo lavoro sull’improvvisazione, per cui ha anche tenuto diversi master.
A lui rivolgiamo alcune domande. Possiamo dire che improvvisazione non significa, come potrebbe sembrare, inesistenza di progettualità e preparazione?
Spesso il verbo “improvvisare” viene erroneamente percepito come sinonimo di un gesto emergenziale, dettato dalla necessità di porre rimedio ad un problema, o più semplicemente come risultante di una pigra indolenza che porta ad eseguire qualcosa in maniera raffazzonata e superficiale. È un equivoco semantico facilmente riconoscibile da un napoletano come me: siamo un popolo che, per retaggio di una sofferenza sociale atavica, ha sviluppato una quasi soprannaturale capacità di problem solving e l’arte di arrangiarsi nell’immediato presente, in attesa di tempi migliori.
L’improvvisazione musicale, invece, implica ben altri presupposti di partenza, in quanto a tutti gli effetti si tratta di composizione, peraltro in real time, ossia con tempi di azione/reazione infinitesimali. È dunque imprescindibile una conoscenza a menadito di ogni regola melodica, armonica e ritmica, insieme ad un bagaglio empirico (costruito su anni e anni di prassi esecutive) di pieno e cosciente dominio delle correlazioni che ogni gesto musicale (un determinato accordo, un intervallo melodico, una figurazione ritmica, ecc.) ha con l’impatto emotivo che esso determinerà nell’ascoltatore.
La mancanza di segni di notazione scritta nell’attività di improvvisazione, che resta estemporanea, dando valore al fenomeno acustico per così dire puro, non rende i lavori meno classificabili e contestualizzabili, quindi meno definibili dal punto di vista della qualità artistica?
Questo è un problema col quale talvolta si scontra perfino la musica classica (che nell’immaginario collettivo è l’esempio inoppugnabile di musica totalmente scritta) quando, ad esempio, si cerca di ricostruire un’esecuzione che sia il più filologicamente corretta (“così come l’avrebbe voluta il compositore”) per brani che però, in taluni casi, hanno la propria autenticità proprio nel fatto che nascono come improvvisazioni, successivamente poi razionalizzate e messe su carta per consegnarne una versione unica ai posteri (come ad esempio molti brani di Chopin). E come porsi poi dinanzi alla musica aleatoria? E il jazz? Oppure come giudichiamo la fedeltà al testo nel caso di esecuzioni di lavori redatti con notazione semiografica contemporanea, dove il caro vecchio pentagramma – ormai in affanno rispetto allo sviluppo ipertrofico delle tecniche strumentali – ha ceduto il posto a simboli grafici che spesso ogni compositore crea in proprio, libero da tabelle di riferimento? Io credo che, come sempre, il giudice supremo sia l’orecchio.
Possiamo dire che l’arte dell’improvvisazione è l’arte dei suoni e dei silenzi (Cage docet) ?
Sicuramente sì, come del resto per qualsiasi altra forma di espressione musicale.
È chiaro che le esperienze pregresse, le conoscenze tecniche, le abilità strumentali, oltre alle passioni personali sono radicate nella memoria di chi si esibisce in modo improvvisativo e ne condizionano l’esibizione. In che modo ciò avviene nel suo lavoro?
Ho due modalità operative, che differiscono fra loro soltanto rispetto al punto di partenza. Se improvviso su un brano preesistente la fase di start-up è costituita da un rapido check mentale di cosa quel brano mi offre in dote: stile e forma complessiva, tipologia di intervalli, di armonie e di figurazioni ritmiche. Il passo successivo è immaginare come ripensare e ricombinare diversamente quegli elementi, evitando lo sterile esercizio di stile e soprattutto avendo già ben chiaro in mente (da esperienze pregresse) il risultato a cui ogni singola ricombinazione può condurmi, e quindi cosa essa potrà comunicare a me e all’ascoltatore. Quando invece parto dal nulla, senza alcun materiale preesistente, mi basta abbandonarmi ad una istantanea emozione, che può essere legata a cose concrete ma anche semplicemente alla materia musicale in quanto tale, scevra da collegamenti, il semplice richiamo alla memoria sensoriale di una esperienza sonora già vissuta (esempio: il suono di un determinato accordo in un preciso registro); in quel caso il check mentale è finalizzato alla ricerca nell’archivio mnemonico e analitico di un riferimento sonoro (non un brano, intendo proprio un gesto musicale) che in passato ho “catalogato” con l’etichetta di quella emozione.
La creazione improvvisativa si può dire che è come la valanga di Bergson? (ricordiamo che la valanga si costituisce quando si stacca un nucleo dalla massa e rotola, accumulando sempre più neve, senza mai perdere quella che vi era all’origine).
A mio avviso, sì. Credo che ciò avvenga sia in quelle improvvisazioni dove il materiale di origine si palesa lungo tutto il brano in maniera inequivocabile sia in quelle dove invece la trama musicale vira verso episodi che non tornano più all’origine, o che addirittura sembrano non esservi mai appartenuti. In entrambi i casi si può tracciare un parallelo con le relazioni umane: accade infatti che fra due individui il rapporto si evolva, esso può mutare o perfino perdere i connotati che aveva all’inizio; ma nessuno potrà mai mettere in dubbio che si tratti di un percorso compiuto insieme dalle medesime due persone che l’hanno generato in partenza, per quanto modificate negli animi dal tempo e dalle esperienze. Ma poi, se anche questa relazione finisse a causa di una trasformazione che ha reso i due soggetti ormai reciprocamente irriconoscibili, anche la fine è in sé una vicenda, no? Dunque anche essa ha uguale diritto di essere narrata, ossia di essere la coda di quel discorso musicale iniziato in tutt’altro modo. L’uomo e le sue vicende coprono un intervallo di tempo che è determinato; la Musica, invece, è eterna e sopravvive all’uomo.
Mettendoci dalla parte del pubblico, in che modo è possibile apprezzare il suo lavoro musicale non potendo contare sul piacere cognitivo della riconoscibilità? Qual è lo spirito con il quale ci si deve porre al suo ascolto?
Io credo che vi sia sempre un tacito patto fra esecutore e ascoltatore: l’esecutore si assume la responsabilità di non deludere la fiducia che l’ascoltatore gli ha concesso. Fatta salva questa premessa, per me il piacere cognitivo della riconoscibilità non è soltanto in un brano che l’ascoltatore già conosce e che desidera riascoltare, ma può albergare anche nella intelligibilità con cui l’improvvisatore modella sapientemente il materiale musicale, tracciando un sentiero al quale l’ascoltatore avrà piacere di abbandonarsi perché vi troverà coerenza, richiami e linearità di narrazione, anche quando il linguaggio si fa eventualmente ostico o apparentemente criptico.
La registrazione non crea un paradosso per cui l’improvvisazione perde il suo significato originario di creatività allo stato puro e diventa un prodotto codificato e usufruibile più volte?
È una contraddizione concettuale molto dibattuta, in effetti. Il mio punto di vista è che la musica non sia un semplice algoritmo di proiezione sonora esercitata nella bidimensionalità spazio/tempo, come se avulsa da considerazioni emotive. Ciascun evento sonoro, anche se per assurdo generato da un computer – quindi sempre perfettamente identico, con esattezza matematica – avrà un impatto percettivo ogni volta differente di micro (a volte anche macro!) gradienti emotivi, in base allo stato d’animo del fruitore in quel preciso istante.
È così anche per la musica scritta, tanto per l’esecutore che per l’ascoltatore. Maurizio Pollini, ad esempio, avrà eseguito la Sonata op.110 di Beethoven migliaia e migliaia di volte nella sua carriera concertistica (senza voler contare le infinite esecuzioni casalinghe in fase di studio); eppure in ogni sua esecuzione ha creato sfumature ogni volta infinitamente diverse dalle precedenti, non soltanto come naturale conseguenza della continua evoluzione della sua visione estetica nel corso dei giorni, mesi ed anni, ma proprio in quanto dettate dal suo stato d’animo di quel preciso istante, pur nella razionale vigilanza necessaria a mantenere l’esecuzione nei confini imposti dalla contestualizzazione storica e stilistica di Beethoven.
Quali sono i riferimenti musicali (opere e artisti) nei suoi lavori?
Le dirò che in realtà molto spesso la musica non è tanto il vertice della catena alimentare con cui nutro la mia ispirazione di compositore ed esecutore, quanto invece il linguaggio con cui traduco le esperienze vissute in altre sfere e il laccio con cui raccolgo insieme le emozioni e le stringo a me. Se ripercorro a ritroso i miei oltre trent’anni di attività da professionista posso asserire con buona certezza che quel particolare tipo di fuoco interiore creativo, quella scintilla ispirante e la sua frenetica urgenza, io non li abbia quasi mai provati all’ascolto di un brano quanto invece all’uscita da una esposizione di quadri, dopo la lettura di qualche capolavoro della letteratura o dopo qualche ora trascorsa ad immergermi in silenzio nei colori e nei sapori della mia terra di infanzia (Torregaveta, frazione di Bacoli, provincia di Napoli).
Da ascoltatore invece ho un rapporto con la musica completamente diverso: essa è per me la più autentica fonte di emozioni, a volte anche devastanti per la loro crudele bellezza. Così, da compositore/esecutore non devo far altro che riconnettere l’archivio di emozioni all’archivio di fonti sonore, guidato anche in questo caso dal bagaglio delle conoscenze teoriche ma anche empiriche. A quel punto, ogni possibile musica esistente fa al mio caso ed è per me un utensile che mi aiuterà ad esprimere ciò che il mio corpo e la mia mente hanno immagazzinato, per restituirlo a me e all’ascoltatore sotto forma di emozione.
Per ascoltare il lavoro di Ivano Leva cliccate qui:
Prossime esibizioni:
12 febbraio 2022, Torremaggiore (FG), Associazione culturale e musicale “Mozart”, Castel Fiorentino Festival. Luca Luciano clarinetto, Ivano Leva pianoforte
20 febbraio 2022, Napoli, Fondazione Pietà de’ Turchini, Première del lavoro Preludism, Ivano Leva pianoforte ►info&tickets
18 marzo 2022, annecy, (fra), Conservatoire CRR, Nautis, Paesaggi Mediterranei tour.
3 aprile 2022, Parigi, Eglise St Merry, “Images en musique”, Presentation du nouveau cd d’improvisation de Marika Lombardi (oboe) et Ivano Leva (piano) et expo de photos.
8 aprile 2022, Meudon (FRA), Conservatoire Marcel Doupré, Discordanza, Dora Cantella pianoforte
Ivano Leva pianoforte.